Il Mezzogiorno e la qualità della vita in Italia nelle conclusioni del rapporto Svimez e dell’Istat

Le conclusioni del Rapporto SVIMEZ 2018 sull’ economia e sulle imprese nel Mezzogiorno italiano rilevano che il 2017 è stato, a livello mondiale, un anno caratterizzato da una forte crescita economica.

Anche la ripresa dell’economia italiana (+1,5%, oltre mezzo punto in più del 2016) è stata più robusta di quanto atteso. La politica monetaria adottata dalla BCE ha mantenuto un ampio grado di accomodamento, favorendo le condizioni di credito per famiglie e imprese, mentre quella di bilancio è risultata moderatamente espansiva, pur con i limiti noti legati alla situazione delle finanze pubbliche. Un effetto positivo viene segnalato dalla Banca d’Italia per i provvedimenti di sostegno agli investimenti quali il rinnovo degli incentivi fiscali e l’entrata in vigore del piano nazionale Industria 4.0, che comprende misure di aiuto all’investimento in nuove tecnologie digitali e dell’automazione.

Dopo sette anni di recessione ininterrotta (2008- 2014), si registra dunque una ripresa che, tuttavia, appare ancora troppo debole e del tutto insufficiente a colmare il crollo dovuto alla crisi del 2008.

Permane inoltre un’ampia forbice fra Mezzogiorno e Centro-Nord. L’economia delle regioni meridionali, infatti, malgrado un triennio di crescita consolidata, sconta un forte ritardo non solo dal resto dell’Europa ma anche dal resto del Paese. Permane il rischio che in carenza di politiche che sostengano adeguatamente l’apparato produttivo e ne favoriscano l’espansione, questo non riesca, per le sue dimensioni ormai ridotte, a garantire né l’accelerazione né il proseguimento di un ritmo di crescita peraltro insufficiente.  Aumenta l’occupazione (benché in misura non adeguata a colmare la voragine apertasi con la crisi), ma vi è una ridefinizione al ribasso della sua struttura e della sua qualità: i giovani sono tagliati fuori (creando una vera e propria frattura generazionale), aumentano le occupazioni a bassa qualifica e a bassa retribuzione e pertanto la crescita dei salari risulta limitata e non in grado di incidere su livelli di povertà crescenti, anche nelle famiglie in cui la persona di riferimento risulta occupata.

L’ampliamento delle disuguaglianze territoriali in termini di indicatori sociali riflette, in un contesto economico difficile ma che ha mostrato capacità di reazione, un forte indebolimento della capacità del welfare di supportare le fasce più disagiate della popolazione. Gli indicatori sugli standard dei servizi pubblici documentano un ampliamento dei divari Nord-Sud, con particolare riferimento proprio al settore dei servizi socio-sanitari che maggiormente impattano sulla qualità della vita e incidono sui redditi delle famiglie.

La premessa essenziale per un rinnovato impegno pubblico per lo sviluppo del Mezzogiorno passa per la riqualificazione, l’ammodernamento e la razionalizzazione delle istituzioni preposte all’amministrazione dello sviluppo e della coesione, per colmare i deficit in termini di risorse umane qualificate, in particolare sul versante della progettazione degli interventi, inefficienze organizzative a livello locale, carenza di coordinamento strategico a livello nazionale e di volontà e/o capacità di attivare efficaci poteri sostitutivi.

Ad ogni livello di governo – regionale e nazionale, ed in particolare europeo, dove porre con forza il tema delle asimmetrie e degli squilibri di una governance economica che produce divergenza – compito della politica è di non rassegnarsi sul tendenziale rallentamento di una ripresa peraltro già troppo debole, ma di riattivare una grande stagione di investimento nel Mezzogiorno, mirata al miglioramento delle infrastrutture economiche e sociali, per il miglioramento delle condizioni competitive delle imprese e dei fondamentali del benessere dei cittadini, come leva per l’accelerazione del tasso di sviluppo dell’intero Paese.

Passando al rapporto ISTAT sul BES (benessere equo e sostenibile), esso offre una lettura del benessere in riferimento a: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, innovazione, ricerca e creatività, qualità dei servizi.

Nel rapporto emergono importanti differenze nel confronto tra generazioni e tra livelli di istruzione. I giovani e le persone più istruite attribuiscono più importanza alle relazionali sociali, ai temi connessi all’innovazione, all’ambiente, al lavoro e alla politica. Di contro gli anziani e le persone meno colte sono più ricettivi ai temi riguardanti la sicurezza personale.

Infine, Il Sole 24 Ore ha stilato una classifica sulla “Qualità della vita” in 107 province basandosi su ricchezza e consumi, affari e lavoro, ambiente e servizi, demografia e società, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero. La ricerca premia Milano come la città più vivibile in Italia nel 2018. La provincia lombarda svetta sulle altre per cultura, reddito, lavoro e servizi, per depositi in banca pro capite, per tasso di occupazione, nonostante le difficoltà in materia di sicurezza.

In fondo alla classifica c’è Vibo Valentia, in compagnia di Foggia e Taranto. La provincia calabrese è penalizzata dalle performance legate alla giustizia, ai servizi e alle variabili reddituali. Ultima per durata media dei processi e pendenze ultra-triennali nei tribunali, registra anche una delle più basse spese medie degli enti locali per minori, disabili e anziani. Fra le prime dieci, la città più ‘meridionale’ è Bologna. La provincia del Mezzogiorno meglio piazzata nella classifica de Il Sole 24 Ore è Ragusa, che figura al 73° posto. Tra le grandi città crescono Venezia, che scala nove posti arrivando 34esima, e Napoli, che arriva 94esima dopo il 107° posto dell’anno precedente (su 110 province).

Fra le province campane, quella meglio piazzata è Avellino che tuttavia figura soltanto al 90° posto.