Il valore etico della sicurezza sul lavoro

Se davvero vogliamo ragionare, oggi, intorno al tema del valore etico della sicurezza sul lavoro, non possiamo esimerci dallo sforzo di individuare, di “ricostruire” la traccia storica della “sicurezza sul lavoro“..
Perché dunque non partire dalla Costituzione? E cosa rappresenta la nostra Costituzione?
Le Costituzioni, in generale, rappresentano le regole fondamentali che una organizzazione sociale complessa, qual è lo stato democratico moderno, adotta per regolare il proprio funzionamento.
Ma la nostra Costituzione ha, in più, una caratteristica: essa è nata, alla fine della tragica esperienza della seconda guerra mondiale, dalla lotta di resistenza.
In questa lotta, i lavoratori (operai e contadini) hanno svolto, con le proprie organizzazioni, un ruolo fondamentale ed hanno pagato un grave prezzo per giungere al giorno della Liberazione.
Con questa lunga lotta, al fine vittoriosa, la classe dei lavoratori si è emancipata definitivamente dalla condizione di subalternità, ponendo la dignità ed il valore del suo ruolo quale base fondante della convivenza sociale.
E’ per questo che nel primo articolo dei Principi Fondamentali della Carta Costituzionale stabilisce che “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”.
A differenza di quanto stabilito nel previgente “Statuto Albertino”, all’interno del quale il cardine del sistema dei diritti statutari era costituito dal diritto di proprietà.
Detto ciò, cerchiamo di stabilire le connessioni rispetto a quello che è il nostro argomento -cioè che cosa si voglia e si debba intendere per valore etico della sicurezza sul lavoro-, dobbiamo subito verificare il dettato costituzionale nelle formulazioni dettate nei suoi “Principi Fondamentali” (artt. da 1 a 12), e poi le parti in cui definisce i diritti e i doveri dei cittadini (artt. da 13 a 54).
Art. 1
– L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
– La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2
– La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, …

Art. 3
– Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, …
– E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana …

Art. 4
– La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
– Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 32
– La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. – ….
Art. 35
– La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
– Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori

Art. 37
– La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.

Art. 41
– L’iniziativa economica è libera.
– Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana.

Vediamo dunque come la nostra Costituzione stabilisca qui -per quanto di interesse al nostro ragionamento- alcuni diritti fondamentali e, in quanto tali, inalienabili e garantiti (art. 2). Vale a dire, diritti cd. indisponibili.
Essi sono: il diritto alla salute (artt. 2, 32, 35, 37, 41), il diritto al lavoro (artt. 1, 2, , 4, 35, 37, 41), la pari dignità sociale di tutti i cittadini (artt. 3, 4).
Non è difficile notare quanto già accennato all’inizio rispetto alla nuova dignità conquistata dal ruolo del lavoratore. Notare cioè come il complesso degli articoli citati vada a reticolare una sorta di <combinato disposto> che concorre a definire il principio, riconosciuto e garantito dalla Repubblica Italiana su decisione del Legislatore costituzionale (art. 2), ad avere un lavoro che sia sano, sicuro e dignitoso.
La stessa importantissima iniziativa economica/imprenditoriale è sottoposta al limite di non potersi svolgere in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza e alla dignità del lavoratore (art. 41). Sotto questo aspetto, decisivo risulta quanto dettato dall’art. 2087 del codice civile (1942); articolo ormai considerato universalmente come <norma di chiusura> rispetto alla legislazione e alle politiche di prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Art. 2087 c.c.

Tutela delle condizioni di lavoro

 

L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Ma il dettato costituzionale dice un’altra cosa ancora, anch’essa decisiva: dice che non solo la salute (e dunque la salute e sicurezza sul lavoro) è un diritto fondamentale dell’individuo ma che, nel contempo, essa è un interesse fondamentale della collettività (art. 32).

Dunque la condizione di salute del singolo lavoratore -come di qualunque cittadino- è un problema per tutta la collettività ed ha perciò diritto alla tutela più alta prevista dalla norma primaria, la Costituzione appunto.

E’ su queste fondamenta che nel decennio successivo alla entrata in vigore della Costituzione si svilupperà una legislazione -molto avanzata per quel tempo- in materia di prevenzione e protezione dei lavoratori nell’ambiente di lavoro (la cosiddetta “legislazione tecnica” della metà degli anni ’50) sotto forma prevalentemente di DPR (Decreto del Presidente della Repubblica).

Fondamentali il DPR 547/55  “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”,  il DPR 164/56 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni” e il DPR 303/56 “ Norme generali per l’igiene del lavoro”

Caratteristica di questo tipo di legislazione era quella di essere di tipo “impositivo”.

Essa imponeva cioè al datore di lavoro una serie puntuale di obblighi da rispettare e/o di misure da adottare, ad es. con riguardo alle protezioni nei macchinari o all’igiene degli ambienti, la cui violazione costituiva violazione di legge diversamente sanzionata, anche con sanzioni penali. Il lavoratore, per suo conto, doveva limitarsi ad ubbidire alle eventuali disposizioni impartite dal datore di lavoro ; e comunque a rispettare gli apprestamenti protettivi adottati.

In generale è  da riconoscere che questo sistema di normative ha rappresentato, in qualche misura, un elemento di protezione che ha mantenuto la sua validità praticamente fino ai nostri giorni.

L’abrogazione di quel sistema avverrà solo con l’emanazione del D. Lgs. 81/08 (ma consistenti tracce “tecniche” sono ancora rinvenibili nei suoi Allegati).

Si dovranno attendere circa 40 anni perché, con il decreto legislativo n. 626 del 19 settembre 1994, questa logica venisse capovolta in positivo.

Anche se, per il vero, la legge 300/70 (cd. Statuto dei lavoratori) col suo art. 9 aveva in certa misura  prefigurato e anticipato la futura direttrice comunitaria.

Art. 9.

(Tutela della salute e dell’integrità fisica)

I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare  l’applicazione  delle norme  per  la  prevenzione degli infortuni  e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.

Il D. Lgs. 626/94 venne emanato in (tardo) accoglimento della Direttiva della Comunità Economica Europea n. 391 del giugno 1989  “Direttiva del Consiglio concernente l’attuazione di misure volte al miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”.

La norma comunitaria obbliga infatti gli Stati membri a recepire nelle rispettive legislazioni le Direttive europee.

Naturalmente, rispetto alle diverse materie, la Direttiva Comunitaria si limita a dettare le condizioni generali minime e inderogabili rispetto alle quali gli Stati membri sono chiamati al recepimento, adeguandole alle normazioni nazionali.

Senza dunque poter trascurare o stravolgere le indicazioni generali dettate dalla Direttiva. Vale infatti il divieto espresso all’abbassamento delle tutele.

Il D. Lgs. 626/94 “ha capovolto” il modo di concepire la problematica della prevenzione e protezione in materia di salute e sicurezza sul lavoro (avrebbe anzi dovuto cambiarne radicalmente l’approccio).

Questa, infatti, non è più relegata al solo rispetto, da parte del datore di lavoro, di una serie di norme a carattere “tecnico” (e al conseguente obbligo di disciplina da parte dei lavoratori) ma si espande a tutti gli attori -nuovi- della prevenzione nei luoghi di lavoro e a tutti i rischi individuabili in ogni specifica realtà.

Anzi proprio questa “partecipazione equilibrata” (per usare il linguaggio della Direttiva 89/391/CEE) è la condizione essenziale perché il sistema della prevenzione possa operare correttamente.

Tra le nuove figure previste dal D. Lgs. 626/94 si segnalano il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), con il compito di collaborare con il datore di lavoro nella valutazione dei rischi e nella elaborazione del Documento di Valutazione dei Rischi e di coordinare il servizio di prevenzione e protezione nelle figure degli addetti (ASPP); il Medico Competente (MC), che partecipa alla valutazione dei rischi e provvede alla sorveglianza sanitaria nei casi previsti dalla normativa vigente; il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), il quale deve ricevere, a cura del datore di lavoro, una adeguata e specifica formazione, venire consultato rispetto alla valutazione dei rischi e ai programmi della prevenzione e che, più in generale, ha il compito di verificare che le condizioni di tutela vengano adottate e costantemente rispettate.

Per la prima volta, il D. Lgs. 626/94 prevede anche l’obbligo per il Datore di Lavoro di fornire ai lavoratori una informazione e formazione sufficienti, adeguate e non episodiche.

Nei suoi circa 14 anni di vigenza, il D. Lgs. 626/94 (con le modifiche e integrazioni successivamente intervenute sul testo originario) ha offerto grandi possibilità per il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e suscitato negli RLS sensibili aspettative in questo senso.

Purtroppo, pur riconoscendo al decreto una funzione protettiva e -grazie all’apparato sanzionatorio- deterrente rispetto alle ipotesi di violazione, pur riconoscendo agli enti istituzionalmente preposti alla vigilanza (in primo luogo i Servizi di Prevenzione delle ASL) un impegno significativo, ciò che è venuto a mancare è stato proprio lo spirito collaborativo che informava la legge e, prima ancora, la direttiva comunitaria, la quale rappresenta fonte primaria e inderogabile.

In via generale non è stata cioè superata, da parte delle imprese, la diffidenza nel far partecipare i lavoratori e le loro rappresentanze alla organizzazione della prevenzione; anche perché, non di rado, quest’ultima risultava ignorata, o percepita come costo “non sostenibile” e inutile aggravio burocratico.  (non pare inutile richiamare, in questo contesto, l’inattuata previsione costituzionale dell’art. 46:  “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.”)

A ciò si aggiunga che, permanendo in vigore tutta la complessa decretazione degli anni ’50 e quella via via succedutasi, s’era venuta a determinare una sorta di “interpretazione di leggi e regolamenti” che rendevano la materia di difficile accessibilità e interpretazione.

Il problema che, a quest’altezza, si poneva al legislatore, era quello di accorpare, armonizzandola ed integrandola, una legislazione/normazione vasta e complessa; per di più soggetta, a progressive rivisitazioni e modifiche.

Tale problema, a dire il vero, era già stato posto dalla legge di riforma sanitaria del 1978 (la 833/78 “Istituzione del servizio sanitario nazionale”) nella parte in cui sollecitava il legislatore a procedere ad un riassetto e a una rivisitazione della materia.

A partire da allora, si succedettero diverse prefigurazioni di “riforma” e una proposta organica (ma scellerata) di Testo Unico che il governo del 2005 fu poi costretto a ritirare, sostanzialmente in conseguenza della pronuncia sfavorevole del Consiglio di Stato e del parere negativo delle Regioni.

Quella esigenza, posta già dalla legge del 1978, venne finalmente risolta dal legislatore del 2008 con l’emanazione del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

Il D. Lgs. 81/2008, che si presentava fattualmente come “Testo Unico (o “Unico Testo” n.d.r.) in materia di salute e sicurezza sul lavoro pur non avendone qualificazione formale, soddisfaceva alla delega formulata un anno prima dalla legge 123/07  “Misure in tema di salute e sicurezza e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”.

 

Art.1

Il Governo è delegato ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, …

Cosa fa il D.Lgs. 81/08, modificato dal decreto integrativo e correttivo 106/09?

Esso adempie al compito di rendere omogenea ed aggiornata (rispetto alle direttive comunitarie, alla normazione tecnica internazionale ed alla giurisprudenza consolidata) tutta la materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Dunque anche abolendo grandissima parte della precedente legislazione di riferimento o, per certa parte, incorporandola.

Non è qui compito di addentrarci in specifiche valutazioni dei contenuti del Testo Unico.

Nostro compito è invece quello di individuare gli elementi di tali contenuti che possano riconnetterci al ragionamento su che cosa debba intendersi per <valore etico della sicurezza>.

Tali elementi sono quelli che “riassumono” e richiamano il dettato -e lo spirito- costituzionale, saldando (soprattutto) gli articoli 35 e 41 della Costituzione con la norma generale stabilita dall’art. 2087 del codice civile.

Richiamiamoli brevemente:

− la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività;

− l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana;

− l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Ecco dunque che l’art. 15 del D. Lgs. 81/08 elencando diffusamente le misure di tutela definisce il sovraordinato obbligo generale di sicurezza posto a carico del datore di lavoro dall’art. 2087 dl c.c. .

In primo luogo nei confronti dei lavoratori; e però anche nei confronti di terzi -presenti sul luogo di lavoro- e dell’ambiente esterno (si pensi solo ai danni da emissioni nocive o da smaltimento di rifiuti tossici).

E tuttavia anche il lavoratore è sottoposto all’obbligo di sicurezza: nei confronti di sé stesso, come nei confronti dei colleghi di lavoro, come nei confronti di terzi, ad es. lavoratori di altre imprese che si trovino a operare su quel luogo di lavoro, visitatori, clienti etc. .

Ciò proprio perché la salute -che è un bene indisponibile (cioè non riducibile, né contrattabile)- non rappresenta soltanto un diritto fondamentale dell’individuo (si parla, giuridicamente, di diritto soggettivo perfetto) ma, nel contempo, rappresenta un interesse altrettanto fondamentale per la collettività; basti pensare agli altissimi costi umani, sociali ed economici degli infortuni e delle malattie professionali.

E’ per questo che l’art. 20 del D. Lgs. 81/08 procede a definire gli “obblighi dei lavoratori”, indicando nel primo comma l’obbligo generale:

  1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni od omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.

Detto ciò, abbiamo percorso e considerato, sia pure in modo estremamente sintetico, una “lunga storia”.

E’ la nostra storia. Quella dei nostri padri e dei “padri” costituenti.

Storia fatta dalle donne e dagli uomini di questa Repubblica ( res publica) democratica ( démos cràtos), dalle loro intelligenze e dalla loro passione, per una società progressiva.

Certamente di faticoso avanzamento sociale, del tutto diverso dalle  “magnifiche sorti e progressive” della celebre critica leopardiana.

In questo senso, dobbiamo intendere l’etica, sul piano socio-politico, come il complesso delle leggi più nobili delle quali una società si dota per regolare il proprio svolgimento.

E invece, sul piano morale, essa deve intendersi -secondo le parole di Antigone nella grande tragedia di Sofocle- come le  “eterne leggi non scritte”.

*Presidente Organismo Paritetico Nazionale Co.N.A.P.I.