La cornice geopolitica dell’Italia: un tentativo di risposta a Ernesto Galli della Loggia.

Sull’edizione del Corriere della Sera del 19 novembre 2018 è apparso un interessante editoriale di Ernesto Galli della Loggia – dal titolo “Il ruolo perduto dell’Italia” -incentrato sull’analisi della dimensione geopolitica del Belpaese.

L’editorialista, sui temi storici e dell’analisi politica, si è sempre contraddistinto per onestà intellettuale e acutezza analitica.

Nell’editoriale sopra citato, Ernesto Galli della Loggia, infatti, compie una profonda digressione storica con la quale cerca di dimostrare le ragioni che hanno determinato la marginalizzazione dell’Italia nello scacchiere internazionale.

Da questo punto di vista, lo studioso ci spiega che i “successi” dell’Italia nell’arena internazionale derivano dalla cosiddetta “duplicità geopolitica” ovvero dalla capacità di mediare tra diversi attori e, al contempo, trovare la propria dimensione negli interstizi delle relazioni internazionali.

Potenzialmente, scrive Ernesto Galli della Loggia, “l’Italia se l’è sempre dovuta vedere da un lato, a Est, con la più o meno potenziale presenza di un Grande Esercito delle Pianure ( che si trattasse dei Vandali o  dell’armata Rossa  non importa ), ad Ovest con quella di una grande Flotta ( saracena o britannica è lo stesso ).”

Da qui, continua l’editorialista, “la naturale predisposizione alla duplicità del nostro stare in Europa, che specie a occhi altrui si è perlopiù presentata come doppiezza. Sempre da qui, al tempo stesso, la tendenza a cercare di giocare con l’Est contro l’Ovest e viceversa. Due aspetti che lo Stato unitario ha incarnato in pieno fin dal modo in cui si formò: usando la Francia contro l’Austria nel 1859 e poi nel 1870 la Prussia contro la Francia per cacciare quest’ultima da Roma e farne la capitale del nuovo regno. E cos’altro significò tra Otto e Novecento l’adesione alla Triplice ( cioè l’alleanza con la Germania e l’Impero Austro-ungarico ) ma la contemporanea amicizia con l’Inghilterra se non questo diciamo così “barcamenarci” tra mare e terra, tra Sudovest e Nordest ?”

Lo studioso estende il medesimo approccio all’Italia repubblicana dove, con grande abilità diplomatica, il Paese ha saputo dare prova di grandi intuizioni riuscendo a non precludersi i solidi rapporti con l’Unione Sovietica e l’area dei paesi non allineati (compreso il Medio Oriente) pur nell’alveo dell’Alleanza Atlantica.

Tuttavia, come scrive Sergio Romano in “Guida alla politica estera italiana ( Edizioni Rizzoli, 2002 ), “è la guerra fredda, naturalmente, vale adire l’impossibilità di uno scontro aperto tra forze nemiche, che ha consentito all’Italia di essere al tempo stesso alleata e “neutrale”, cobelligerante e non belligerante.”

Da questo punto di vista, l’eclissi del bipolarismo, continua Sergio Romano, “ha drasticamente ridotto il margine di impunità con cui essa ( l’Italia n.d.r ) poteva adottare atteggiamenti contraddittori e ha messo in luce la sua impotenza.”

La dissoluzione dell’Unione Sovietica nel dicembre del 1991 ha profondamente ridisegnato le relazioni tra gli Stati e, in conseguenza di ciò, le relazioni internazionali non si inseriscono più in una dimensione di “mediazione tra blocchi”, ma di riassestamento del globo in senso multipolare come spiega lo studioso americano Samuel Huntington ne “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale” (Garzanti, 2000).

In questa nuova fase delle relazioni internazionali, ci spiega Galli della Loggia, “l’Italia vede di fatto chiusi tutti i teatri dove per decenni ha messo in opera la sua duplicità, dove per decenni ha cercato e trovato le sponde per i suoi sforzi di riequilibrio, avendo modo di volta in volta di costruire un suo ruolo autonomo di secondo livello diverso dal primo.”

Che fare, dunque? Questo è l’interrogativo che lo studioso si pone al termine del suo interessante editoriale.

Ebbene, a parere di chi scrive, la soluzione individuata da Galli della Loggia presta il fianco ad una serie di criticità e financo di contraddizioni.

Nello specifico, preso atto del nuovo scenario internazionale e, al contempo, dell’ascesa, dopo una iniziale fase di unipolarismo a guida statunitense (1991- 2004), di Russia, Cina e India nell’arena delle grandi potenze, occorre ridisegnare le strategie operative dell’Italia in politica estera.

Tuttavia, la soluzione proposta da Galli della Loggia e cioè quella di trovare nella cornice europea la nuova dimensione geopolitica per evitare di soccombere “all’egemonia tedesca” nasconde una serie enorme di equivoci interpretativi.

Primo fra tutti, dal Trattato di Maastricht in poi (1992 ) e fino alla crisi dei debiti pubblici (2010 – 2012 ), l’Europa è sempre stata dominata dall’Asse franco-tedesco con una pesantissima marginalizzazione dell’Italia anche in politica estera come dimostrato dall’attacco alla Libia del marzo 2011 compulsato dalla Francia di Sarkozy con conseguenze disastrose per gli interessi economici dell’ENI e per la politica migratoria.

In secondo luogo, l’Unione Europea, allo stato attuale, vive una crisi di legittimazione senza precedenti e il Commissario per la politica estera non ha alcun potere di incidenza nelle grandi questioni internazionali come dimostrato dai rapporti con la Federazione Russa dove la linea viene imposta dagli Stati Uniti al Consiglio d’Europa senza possibilità di scelte autonome da parte dei singoli Stati che lo compongono.

In terzo luogo, l’Italia, in una Europa ancora formalmente a guida franco-tedesca, come può sperare di trovare un margine concreto di azione? Non sarebbe questo il modo per amputare definitivamente qualsivoglia autonomia operativa?

In realtà, l’intuizione di dare all’Europa una dimensione geopolitica è preziosa, ma al contempo occorre prendere atto che i singoli Stati devono iniziare a ragionare in un’ottica di pariteticità con le grandi potenze, tra cui anche e soprattutto gli Stati Uniti.

Con il crollo del Muro di Berlino e il conseguente collasso sovietico, il Patto di Varsavia si è estinto, ma il Trattato Atlantico è una realtà viva e fortemente condizionante gli equilibri geopolitici dell’Europa.

Dunque, che fare? Prendere atto delle stato di cose presenti e iniziare a sgombrare il campo dalle contraddizioni concettuali e dagli equivoci operativi.