Citando un’affermazione di Deming che, oltre il 95% dei fatti che accadono in un’azienda discendono dalle prestazioni del sistema aziendale e che tali prestazioni sono una responsabilità della direzione e quindi meno del 5 % dipende dalle singole persone, come possiamo intendere oggi in azienda il concetto di “qualità”? e il peso il costo della non qualità?
Dare una definizione univoca sul concetto di qualità è abbastanza variabile e complesso.
In generale però, se pensiamo alla qualità in ambito aziendale, possiamo riassumere tutto nelle semplici parole: efficienza, miglioramento continuo e riduzione dei costi.
Il termine “costi della Qualità”, in realtà, è ingannevole perché la Qualità, alla lunga, fa risparmiare del denaro e non rappresenta, quindi, un costo fine a se stesso.
Per un’impresa, infatti, l’incremento della qualità dei suoi processi e quindi del prodotto/servizio è molto importante al fine di mantenere il vantaggio competitivo nel mercato.
Applicare e sostenere dei miglioramenti sulla qualità aziendale richiede una quantità significativa di costi, conosciuti come i costi della qualità che si contrappongono ai costi dovuti alle inefficienze, e alla scarsa qualità in genere, ossia ai costi della non qualità.
Misurare i costi della qualità e della non qualità, è basilare per individuare le maggiori opportunità per azioni correttive e/o preventive e per rilevare quali siano le forze e le debolezze del proprio sistema azienda.
Le piccole medie imprese italiane costituiscono un grande e diffuso tessuto produttivo ricco di capacità imprenditoriali.
Secondo il rapporto CERVED 2016 soddisfano i requisiti per essere considerate PMI ben 136.114 società, tra le quali 112.378 aziende rientrano nella definizione di “piccola impresa” e 23.736 in quella di “media impresa”. Queste società occupano 3,8 milioni di addetti, di cui oltre due milioni in aziende piccole.
Esse sono sottoposte a notevoli pressioni competitive per fronteggiare le quali occorre un’attenta progettazione e, in molti casi, una corretta gestione della relazione famiglia-impresa.
Rimane alta la qualità del sistema produttivo italiano, ma diminuisce la qualità della vita, del contesto socio-economico, dell’ambiente e dell’offerta di servizi pubblici. Tra i fattori di tenuta del sistema d’impresa c’è anche la certificazione. Sono, infatti, più di 83.000 in Italia le aziende dotate di un sistema di gestione della qualità secondo gli standard Uni En Iso 9001. Si tratta per lo più di aziende che, pur nell’attuale fase di crisi, esprimono livelli di efficienza e capacità competitiva, maggiori rispetto alla media nazionale.
Elevare l’efficienza e l’efficacia dei processi e dei servizi, consente alle aziende produttrici di aumentare la performance e diminuire gli effetti della crisi con un livello maggiore di credibilità da parte del mercato, generando un valore aggiunto nella relazione con il cliente.
In Italia molti imprenditori stanno iniziando a rendersi conto che certificarsi, secondo degli standard, non significa solo ottenere un “pezzo di carta” che permetta di lavorare in certi ambiti, ma uno strumento fondamentale per migliorare l’ organizzazione, impostare il lavoro in modo più efficiente e realizzare quindi risparmi con maggiori garanzie di restare sul mercato anche in tempi di crisi profonda come quelli attuali.
L’adeguamento aziendale ad uno o più dei sistemi di gestione sta portando ad un vero e proprio nuovo modo di pensare, ad un processo di apprendimento e miglioramento che non solo interessa gli strumenti e i metodi ma anche la cultura aziendale ossia l’insieme di regole e valori dell’azienda; si tratta di una vera e propria filosofia attenta all’identificazione ed analisi dei processi allo scopo di individuare criticità e rischi e far emergere opportunità di miglioramento
Si tenga presente infine che la spesa per i consumi energetici per le piccole imprese italiane (energia elettrica e gas) continua a essere tra le più elevate nell’Unione Europea. In particolare il nostro “primato” è nei prezzi elettrici. Rispetto alla media dei paesi dell’area euro, l’energia elettrica alle piccole imprese, con consumi tra 500 e 200 MWh/anno, costa, per ogni 1.000 kWh (1 MWh) consumati, escludendo l’Iva, 155,6 euro.
Come spiega l’Ufficio Studi della CGIA di Mestre nella sua elaborazione, si tratta della tariffa più elevata tra tutti i 19 paesi e significa che le PMI italiane pagano il 27,8% in più della media UE.
E’ evidente quindi l’opportunità e convenienza di verificare la possibilità di risparmi energetici in tutti i settori aziendali mediante un’attenta attività di diagnosi (audit energetico) che porta in seguito a possibilità di miglioramento dell’efficienza nei vari settori, alla convenienza di risparmio energetico, alla possibilità di installare impianti da fonti rinnovabili e di cogenerazione oltre alla possibilità di accedere ad agevolazioni fiscali relative.
Supportare e affiancare i propri associati attraverso l’accompagnamento nel processo di adozione di sistemi di gestione integrata e risparmio energetico è l’obiettivo ambizioso dei prossimi anni della Co.N.A.P.I. Nazionale che è intenzionata a stipulare convenzioni con enti di certificazione, anche attraverso un programma d’incontri formativi, di aggiornamento e confronto, per favorire fortemente la cultura della qualità e la diffusione dell’adozione di Sistemi di Gestione integrati.
E’ istruttivo, a questo proposito, citare la seguente dichiarazione Toyota:
- noi otteniamo risultati brillanti da persone di medie capacità che migliorano processi brillanti.
- I nostri concorrenti ottengono risultati mediocri da persone brillanti che operano con processi difettosi.
- quando loro incontrano difficoltà, cercano di assumere persone ancora più brillanti.
- noi non possiamo che superarli.
