Da anni registriamo sulla vicenda TAV notevoli versioni contrastanti e conti economici che balzano agli occhi che la fanno percepire come un’opera importante quanto allo stesso tempo inutile. Quale sia la verità, la questione meriterebbe un’analisi ed un approfondimento con una visione che tenga conto che si tratta di un investimento da valutare su un lungo periodo.
Torino ed il Piemonte hanno già visto storicamente oltre cento anni fa un evento del genere, anch’esso a suo tempo osteggiato e ritenuto inutile e costoso, che costrinse, con un celebre discorso, Cavour a intervenire in Parlamento sulla costruzione del tunnel del Frejus. Cavour sosteneva, dovendo smantellare una serie di opposizioni dalle più disparate fantasie, alimentate da chi, in quei tempi lontani, si opponeva al tunnel come i No Tav attuali, che fare o non fare l’opera significava progredire o regredire. Basta scorrere il nuovo e documentato libro di Bruna Bertolo – «Storia della Valle di Susa», edito da Susalibri – per riconoscere nei fotogrammi di quel tempo l’attuale film dei moderni no tav.
Colpiti dalla Sindrome di Nimby, ossia not in my backyard (non nel mio giardino) malattia tipica del cittadino medio, anche nell’ottocento nella loro convinta arretratezza tecnologica, apprendiamo dal volume della Bertolo, che parecchi esperti, fra cui eminenti scienziati, «non escludevano di trovare all’interno del monte interi filoni di rocce incandescenti che avrebbero impedito qualsiasi avanzata». Altri ipotizzavano la presenza di grosse vene d’acqua o di copiosi torrenti sotterranei che avrebbero travolto i minatori e, una volta sbucati dal monte, spazzato via Bardonecchia e la sua valle: «Fra gli oppositori ci fu anche chi pensò alla presenza nel sottosuolo di mostri, strani animali o di draghi!». Per non parlare di quanti attribuivano le malattie dell’uva al fumo nero delle locomotive o pronosticavano sventure quando lo scavo avrebbe incontrato il fondo del lago del Cenisio anche se lo stesso è a circa 25 km di distanza. Suggestioni che argomentate bene avevano un peso cosi come le hanno oggi sulla popolazione che comunque deve vedere quest’opera invadere la propria vita quotidiana fatta da poche e antiche certezze e pertanto chi oggi sbandiera un possibile pericolo di morte per tutti i cittadini della valle a causa dell’amianto non fa altro che riallacciare gli antichi timori di chi ha vissuto questa fase oltre 100 anni fa.
Ovviamente tutti i moderni accertamenti di natura sanitaria devono continuare ad essere espletati ma la sfida alla modernità deve essere vista a lungo termine e sotto molti aspetti.
L’opera del traforo del Frejus di fatto creò lavoro per 4000 operai e allacciò la linea Londra -Brindisi – Bombay chiamata all’epoca “Valigia delle Indie” che faceva risparmiare notevolmente il tempo del tragitto e la circolazione delle merci, cosa che ritornando ai nostri giorni sono sempre più importanti per le nostre imprese.
Pertanto riteniamo che a prescindere dal costo iniziale un’opera che può portare lavoro e sviluppo e soprattutto rimodernare le infrastrutture debba essere fatta poiché le ricadute economiche sono sicuramente superiori nel lungo periodo e l’Italia essendo un paese che vive in una particolare area geografica del mediterraneo che fa da sponda al medio oriente deve necessariamente investire nelle proprie infrastrutture per essere competitiva e non essere tagliata fuori dalle tratte internazionali.
Anche all’interno del nostro paese vediamo quanto incide la differenza di tecnologia se si immagina un viaggiatore che deve percorrere da Roma 650 km verso nord o verso sud le tratte sono sostanzialmente diverse con un’alta velocità che oggi termina a Salerno, rendendo di fatto il Sud più carente e quindi più svantaggiato rispetto alle imprese del Nord.