La relazione affettiva

Nella prima infanzia è enorme l’importanza del contatto sociale umano, anche minimo, soprattutto con la figura materna. E ciò è confermato da numerose ricerche. Lo psicoanalista René Spitz, negli anni ’40, confrontò i bambini di due istituzioni ospedalizzanti per mostrare i dannosi effetti psicologici e fisici di un’assistenza impersonale all’interno di esse. Le istituzioni scelte furono un asilo nido, allestito in carcere per bambini nati dalle detenute, e un orfanotrofio per bambini abbandonati. Entrambi assicuravano igienicità, cibo e assistenza medica. L’asilo nido forniva più giocattoli e stimoli visivi rispetto l’orfanotrofio, ma la differenza fondamentale era nella cura dei bambini.

Mentre nell’orfanotrofio una caposala e 5 assistenti si occupavano di 45 bambini, nell’asilo nido una caposala e 3 assistenti insegnavano alle madri ad occuparsi dei loro figli.

Un confronto tra le condizioni mentali e fisiche dei bambini ospitati nelle due strutture mise in luce differenze sorprendenti. A partire dal 3° mese i bambini dell’orfanotrofio mostravano elevata vulnerabilità salutare, alto tasso di mortalità e un lento sviluppo psico-fisico. I bambini dell’asilo nido non solo erano più sani, ma iniziavano a parlare molto prima oltre che essere più attivi e dinamici.

Tutto comincia, dunque, dall’amore. Quello dell’amore da parte della mamma, e se c’è quello della coppia (amore tra i partner e per il bambino), ciò risulta essere per l’infante infinitamente meglio. Tra il 1950 e il 1960, Bateson e i suoi collaboratori, attraverso lo studio su modelli di comunicazione, definirono la famiglia come “sistema dinamico di relazioni interdipendenti”. L’antropologo – a capo dei ricercatori della Scuola californiana di Palo Alto, postulò il termine di “doppio legame” tra due o più persone coinvolte in una relazione comunicativa patologica: in tale relazione – di notevole intensità affettiva e legata alla sopravvivenza, come quella di madre-figlio, la comunicazione non verbale dà la disconferma alla comunicazione verbale, e ciò potrebbe causare in chi la subisce (il ricevente), schizofrenia.

Con l’età adulta è necessaria la responsabilità per ciò che si è o si può essere. Occorre coraggio per vivere nell’amore considerando di essere soggetti in cambiamento e che la relazione è condivisione spontanea e gioiosa, è rendere partecipe l’altro di tutto ciò che accade, è comunione di intenti.

Non c’è amore senza libertà di scelta, senza la responsabilità rispetto la propria esperienza. Nella frase: “Se fai questo mi fai felice” c’è l’affidare la responsabilità della propria felicità ad altri. Un tale atteggiamento infantile, vittimistico e passivo non è di una relazione affettiva proficua. L’amore è partire dall’amare sé stessi. Se si è in equilibrio con sé, si può vivere l’amore con e dell’altro. Il confronto affettivo è l’occasione ideale per potersi confrontare con il meglio o il peggio di sé.  La fine di una relazione può indicare gli elementi su cui fare riflessione e la crescita che ne scaturisce può far vivere meglio la successiva esperienza. L’amore è fatto di assenza di giudizi. Il giudizio (che ha origine dal peggio del proprio passato) limita le possibilità di espressione dell’altro, poiché questi è influenzato dalla valutazione (anche non svelata) che di lui si ha. L’accettazione è ciò che consente l’esperienza.