Nessuno celebri il primo maggio se ha dimenticato il significato della dignità del lavoro.

L’alba dell’umanità è stata travagliata. Anche il Creatore ha dovuto affrontare un duro lavoro per generare, creare e modellare a sua immagine il mondo che ci tocca vivere.

Insomma lavorare è un gesto sacro perchè replica lo sforzo divino. Senza quel “primo lavoro” non ci sarebbe stata l’Umanità.

Le statistiche italiane segnalano un tasso di disoccupazione che si attesta al 10,3%, quello giovanile si posiziona al 31,9%, il tasso di inattività resta stabile al 34,3%, mentre nell’area dell’euro il tasso di disoccupazione si è attestato, secondo i dati di Euroistat, intorno al 7,9%.

I dati fotografano una realtà italiana dove il lavoro retribuito rischia di essere sostituito dal lavoro per ricercarlo.

Il tema del lavoro è un argomento che ritorna nel pensiero filosofico, nella storia dell’uomo ed è protagonista indiscusso anche della Dottrina sociale della Chiesa, che si è andata formando proprio intorno alla “questione sociale” provocata dall’ industrialismo.

Ma tale tema ritorna prepotentemente anche nella Carta Costituzionale italiana repubblicana, tanto che già nel suo primo articolo si parla del lavoro come fondamento della Repubblica italiana. Il termine di lavoro ricorre nella Costituzione ben 19 volte. All’art. 4 il lavoro viene addirittura configurato come un diritto del cittadino e come suo dovere precisando che la Repubblica “promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Insomma il lavoro è la vita stessa di un cittadino il quale, se ne fosse privo, perderebbe inevitabilmente la propria dignità sociale e probabilmente anche il proprio status di essere umano.

Su questo crinale sono nate e morte ideologie, sono state combattute battaglie di civiltà per la conquista di diritti per coloro che donano alla società il proprio lavoro, senza distinzioni tra chi fa impresa e chi vi lavora, prestando il proprio ingegno o la propria manualità.

In tempi in cui i baluardi ideologici ottocenteschi hanno lasciato il passo ad una società sempre più globalizzata e tecnologizzata, le conquiste sociali, sfociate in moderne ed efficaci legislazioni, come lo“statuto dei lavoratori” , fondate molte volte su lotte che hanno lasciato sul terreno morti e feriti, non metaforici, anche il concetto di lavoro sta velocemente cambiando.

La tradizione romana ci restituisce concetti che fanno riferimento all’otium, tipico di una società organizzata per far lavorare la mente anche in momenti di piacere, e al labor che, invece, esalta il sudore ed sacrificio della manualità.

La lotta di classe, di marxiana memoria, è archiviata nei libri di storia, ma non può essere archiviato il diritto alla dignità del lavoro.

Negli anni sono stati perpretati innumerevoli tentativi per ridurre alla marginalità tale diritto e molti di questi tentativi sono andati, purtroppo, a segno.

Le conseguenze di ciò le viviamo tutti, ogni giorno.

Il perimetro entro il quale si muove la piccola imprenditoria italiana, rispetto alla grande industria che poggia se stessa sul grande e famelico ceto finanziario, è davvero ristretto ed angusto.

Qualora l’azione del sistema imprenditoriale italiano si collocasse, come riteniamo e speriamo, sul crinale del confronto dialettico e solidale con il mondo del lavoro, le strade per dare nuovo valore al lavoro si aprirebbero a nuovi orizzonti prefigurando risultati positivi ed importanti per tutti.

Se, invece, dovessimo registrare il contrario, sulla spinta di un egoistico profitto solitario, non avrebbe alcun senso celebrare e festeggiare il primo maggio che, al contrario, appartiene a coloro che dialogano, che creano ponti, che non alzano muri o steccati.

Su questa terra, creata con lo sforzo ed il lavoro del Padre Eterno, ci viviamo tutti e tutti siamo destinati a condividerne il fine che non è la soddisfazione della propria ingordigia ma quello della condivisione, responsabile e meritocratica.

Buon primo maggio, per un lavoro buono, stabile, giusto e trasparente!