Blue Economy

Dal 13 al 15 maggio, si svolgerà a Genova la II edizione del Blue Economy Summit, la manifestazione dedicata alle diverse filiere produttive legate al mare, promossa dal Comune di Genova e dall’Associazione Genova Smart City.

Il summit esplorerà, attraverso convegni, workshop, visite tecniche e momenti di networking, tutte le attività che utilizzano il mare, le coste e i fondali come risorse per attività industriali e per lo sviluppo di servizi, quali porti, logistica e trasporti, cantieristica da diporto e non, turismo marittimo, costiero e di crociera, pesca, acquacultura, biotecnologie marine ed energie rinnovabili marine.

Il concetto di Blue Economy è stato introdotto per la prima volta nel 1994 da Gunter Pauli, economista e imprenditore belga, che ha ideato un sistema di business che vuole superare la cosiddetta Green Economy, un’economia basata sulle basse emissioni di carbonio, per pensare un mondo a zero emissioni, quindi al 100% sostenibile.

Nel tempo, il concetto di Blue Economy si è poi evoluto, andando a identificare nella maggior parte dei casi la strategia a lungo termine per sostenere una crescita sostenibile nei settori marino e marittimo. Pertanto per blue economy si intendono tutte le attività legate agli oceani, ai mari e alle aree costiere (pesca, acquacoltura, turismo, industrie, energia e biotecnologia marine).

Oggi, a distanza di anni, la Blue Economy, in italiano “Economia blu”, rappresenta, secondo l’ultimo rapporto Unioncamere sull’Economia del mare 2018, un settore che cresce del 2.5% rispetto al 2016 e del 10,5% rispetto al 2011.

La presa di coscienza dell’importanza dell’economia e dei servizi che l’ecosistema marino genera viene testimoniato anche nel rapporto “#BlueInvest 2018: An ocean of opportunity with the right backing” della Commissione europea, secondo il quale questo settore ha rappresentato nel 2016 l’1,3% del Pil della Ue, con un fatturato di 566 miliardi di euro e un potenziale che può moltiplicarsi fino a 4-6 volte.

Una mole notevole di imprese e di lavoratori è quindi coinvolta in questo comparto, rappresentando una buona fetta dell’economia nazionale.

Il turismo marino esprime quasi due terzi della blue economy (115 mila imprese, somma di ricettività, ristorazione e attività sportive e ricreative). Seguono filiera ittica (quasi 34 mila imprese, 17,3% del totale) e cantieristica (27 mila, 13,9% del totale).

La Liguria si conferma la regione in cui l’economia del mare ha il peso più elevato sul tessuto imprenditoriale locale (9,2% del totale). Altre sei regioni superano la soglia del 4% (circa un punto percentuale al di sopra della media nazionale): tre nel Sud (Sardegna, Sicilia e Calabria, rispettivamente 5,8%, 4,8% e 4,5%, a cui si aggiunge la Campania con il 4,0%) e due nel Centro (Lazio e Marche, 5,4% e 4,5%).

Il Lazio è la terza regione in Italia per incidenza delle imprese dell’economia del mare rispetto al totale delle imprese regionali (5,5%). Nella classifica nazionale delle province, invece, Latina, con una quota di incidenza delle imprese dell’economia del mare rispetto al totale delle imprese iscritte del 6,3%, occupa la 22esima posizione (in testa nel Lazio), Roma è 23esima con il 6,2%.

L’Italia, del resto, si trova in una situazione in un certo senso privilegiata, perché al centro del Mediterraneo. Da questo punto di vista molto può essere fatto, e il nostro Paese può proporsi come leader in un’Europa sempre più orientata verso la sensibilità sui temi ambientali e del cambiamento climatico, oltre che verso la crescita e lo sviluppo sostenibile. Da sottolineare poi che la blue economy riguarda anche l’industria estrattiva e l’energia marina (moto ondoso e produzione eolica off shore) e le biotecnologie blue con applicazioni che riguardano il campo medico e farmaceutico, il settore alimentare e l’energia. Si pensi, in tale direzione, all’utilizzo delle biomasse delle alghe utilizzabili per la produzione di BioFuel.