Le elezioni europee del 2019 restituiscono un quadro della politica italiana innegabilmente caratterizzato da una netta vittoria della Lega che supera il 34% dei consensi diventando, in questo modo, il primo partito in Italia. Il partner di governo, il Movimento 5 Stelle, invece, si attesta al 17%, superato anche dal Partito Democratico di Zingaretti che, tornando a crescere, si arresta al 22%. Al di là del risultato italiano, è davvero interessante precisare come da questa tornata sia venuto fuori un nuovo assetto del Parlamento di Strasburgo, in cui per la prima volta dal 1979 i popolari (PPE) e i socialisti (S&D) hanno perso la maggioranza.
I Popolari hanno ottenuto 179 seggi mentre i socialisti ne hanno conquistati 150. Insieme, i due gruppi raggiungono la quota di 329 scanni, a fronte di una maggioranza, fissata a 376, sui 751 seggi totali. Per raggiungere tale soglia i due grandi gruppi politici tradizionali devono, per forza di cosa, scegliere un alleato che sembra essere l’ALDE, il gruppo dei liberali che ha ottenuto, a sua volta, un rilevante incremento di voti guadagnando 107 seggi. Associandosi, i popolari, i socialisti e i liberali potrebbero avere la maggioranza nell’Europarlamento con 436 scanni. Sebbene i popolari e i socialisti si siano confermati rispettivamente come primo e secondo partito in seno all’Unione, il calo importante di voti rappresenta ovviamente un palese messaggio di cambiamento inviato dagli elettori.
Al di là della curiosità della partecipazione a questa tornata elettorale anche del Regno Unito che, come è noto, ha da tempo votato per la sua uscita dall’Unione, è da segnalare come il resto dei Paesi europei, anche laddove hanno prevalso i cosiddetti partiti sovranisti, non mette in discussione la propria appartenenza all’Unione ma ne auspica una sua profonda revisione.
Questo è il nodo della discussione politica che di qui a poco andrà inevitabilmente ad aprirsi con non pochi riverberi sugli assetti di governo dei singoli paesi. L’Italia non fa eccezione.
La formazione dell’Unione Europea venne anticipata con il Trattato di Roma del 25 marzo 1957, la sua denominazione e struttura attuale risale, invece, al trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 (entrato in vigore il 1º novembre 1993), e l’istituzione ufficiale al 2002.
Quindi è abbastanza evidente come dal sogno originario sia passato un tempo tale da giustificare una rivisitazione dell’istituzione europea.
La vera discussione sarà volta a comprendere come l’Unione Europea possa assumere un volto diverso (meno burocrazia e più elasticità per essere vicina al cittadino) al fine di dare soluzione ai tanti problemi dei singoli Paesi.
Per l’Italia le grandi partite aperte riguardano essenzialmente quelle legate alle infrastrutture, al lavoro, alla tutela ambientale, alla protezione del “made in Italy” e al controllo dei flussi migratori.
Queste partite necessitano di politiche e di progetti non rinviabili e pertanto anche la presenza in Commissione in ruoli non marginali, come è invece successo alla Mogherini che ha ricoperto un inutile ruolo di responsabile della politica estera dell’Unione.
Al sistema delle imprese italiane serve una UE più forte e coesa che possa competere con giganti come la Cina e gli Stati Uniti. Ma soprattutto serve un nuovo approccio delle politiche europee per renderle meno distanti dagli interessi e dalle esigenze dei cittadini dell’Unione.
L’augurio che possiamo darci è proprio questo. Rafforziamo e aggiorniamo l’Unione nell’ottica di forte riavvicinamento di essa ai cittadini e alle imprese, soprattutto quelle più piccole, cuore pulsante dell’attività quotidiana Co.N.A.P.I. per tutelarle e farle crescere.