«Ero già stanco di stare alla bada della Fortuna. La dea capricciosa dovea pur passar per la mia strada. E passò finalmente. Ma tignosa».
Il gioco d’azzardo è un settore che non ha risentito della crisi economica. Secondo i dati più aggiornati, pubblicati sul “libro blu” dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (Aams) nel dicembre 2018, esso è cresciuto del 20% rispetto agli 84,3 miliardi del 2014. Se si torna indietro di dieci anni la crescita è del 241,5%, e rispetto al 1993, quando si giocò in un anno l’equivalente di 8,79 miliardi di euro, la crescita è del 1.158%!
Fino agli inizi degli anni ‘90 il gioco d’azzardo in Italia era sempre stato considerato una pratica ad alto rischio sociale, quindi c’erano solo Totocalcio, Lotto, Totip e lotterie nazionali. Tutto cambia fra il 1993 e il 1994. I governi, Amato prima e Ciampi dopo, sono alla ricerca di nuove entrate per garantire la spesa pubblica. Nascono così le lotterie istantanee e, successivamente, nessun esecutivo invertirà la tendenza: l’estrazione del Lotto diventa bisettimanale (governo Prodi 1997) e poi trisettimanale (Berlusconi 2005). Il primo governo Prodi autorizza l’apertura delle sale scommesse, il secondo l’azzardo on line. Berlusconi introduce le slot machine nei bar, il gratta e vinci, le videolottery, 1000 sale poker, 7000 punti scommesse ippiche, nuovi giochi numerici, tutti accompagnati da pesanti campagne pubblicitarie.
Dei 101,8 miliardi del 2017 circa l’80%, va in vincite (82,9 miliardi), il resto allo Stato e ai concessionari, soggetti privati che hanno vinto un bando di gara: rispettivamente 10,3 e 8,6 miliardi di euro.
La Sisal, che gestisce la famiglia dei giochi numerici tipo Superenalotto, ha incassato solo da questi 185 milioni. Il suo fatturato globale nel 2017, compresi scommesse, bingo e casinò online, è di 647,2 milioni di euro: oltre 27 milioni gli utili distribuiti e 1872 i dipendenti. Sisal è controllata, da fine 2016, al 100% da CVC Capital Partners, società finanziaria britannica specializzata in private equity in settori come i beni di consumo, i giochi, i servizi finanziari, le telecomunicazioni e la farmaceutica. Lottomatica detiene quasi il 40% del mercato del gioco in Italia. La società fondata nel 1990 da Olivetti, Alenia, Bnl, Sogei, Federazione italiana tabaccai e Cni, dal 2002 è controllata dal gruppo De Agostini SpA.
Se da un lato, negli ultimi anni, lo Stato ha incassato dagli 8 ai 10 miliardi di euro in tasse dai giochi, dall’altro una buona parte del guadagno lo ha speso per i danni che il gioco comporta.
L’azzardopatia, secondo il Coordinamento nazionale gruppo per giocatori d’azzardo Conagga, costa dai 5,5 ai 6,6 miliardi di euro. Le cifre derivano da un calcolo dei costi sanitari diretti, stimati in 85 milioni di euro, e di quelli indiretti (perdita di performance lavorativa del 28% rispetto ai non giocatori, perdita di reddito), che variano dai 4, 2 ai 4, 6 miliardi di euro. Poi ci sono i costi per la qualità della vita (problemi che ricadono sui familiari, rischio di depressione), stimati tra i 1,4 e 1,8 miliardi di euro. A questi si aggiungono altri costi, non facilmente stimabili, legati al peggioramento delle condizioni delle persone più fragili e povere e all’incremento delle separazioni e dei divorzi. Pesano poi i costi legati alla criminalità, alle truffe ai danni dello Stato, alla crescita del ricorso all’usura. La stima arriva a 14 miliardi di euro all’anno, secondo il consulente della Consulta Nazionale Antiusura Maurizio Fiasco.
In definitiva, il saldo per lo Stato pare essere negativo.
Fortunatamente gran parte delle attuali concessioni arriveranno a scadenza nel 2022. E allora si faranno nuove gare con nuove regole. La prima novità è stata introdotta dal cosiddetto Decreto Dignità che ha vietato la pubblicità di giochi o scommesse con vincite di denaro su qualunque mezzo di diffusione di massa, internet compreso. Dal 1 gennaio 2019 il divieto vale anche per le sponsorizzazioni di eventi, prodotti e tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale. Successivamente la Legge di Bilancio ha diminuito gli introiti per i concessionari. Sono infatti aumentate le aliquote già esistenti per diverse tipologie di gioco d’azzardo in Italia: per le vincite derivanti dalle slot machine, l’aumento è dell’1,35%, mentre per le videolotterie dell’1,25%. Per le scommesse la tassazione di base passa dal 20% al 22% in caso di scommesse virtuali e al 24% in caso di scommesse online; per tutti gli altri giochi online sarà invece applicata un’aliquota del 25%.
Anche gli enti locali si sono attivati per contrastare il gioco d’azzardo.
Alcune regioni hanno fissato una distanza minima da rispettare per le attività collegate al gioco d’azzardo rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili (scuole, strutture sociosanitarie, centri di aggregazione giovanile, centri anziani, ecc.): 300 metri nel caso di Abruzzo, Liguria, Trentino Alto Adige, Piemonte e Calabria; 500 metri per Piemonte, Lombardia, Marche, Umbria, Lazio, Emilia Romagna e Friuli. Inoltre, in Trentino, Friuli, Marche e Piemonte le leggi regionali autorizzano i Comuni a vietare l’installazione di slot machine in alcune aree circoscritte per motivi di sicurezza urbana, viabilità e inquinamento acustico. La legge regionale in Valle d’Aosta e Marche attribuisce ai Comuni anche il potere di dettare limitazioni all’orario di apertura.
Tuttavia, manca ancora una vera strategia nazionale di prevenzione che riduca il fenomeno.
«Il proibizionismo nel gioco, così come in altri settori – ha dichiarato il presidente di Lottomatica Fabio Cairoli – ha come unico effetto diretto il rifiorire del settore in terreni occulti e spesso illegali». D’altro canto, un rapporto del 2014 prodotto dal sociologo Maurizio Fiasco, esperto della Consulta Nazionale Antiusura, dimostra come i due mercati (legale e illegale) non si separano e non entrano in concorrenza, ma si potenziano reciprocamente. In sostanza quando si espande l’uno, si espande pure l’altro. Certo è che proibire non risolve, ma autorizzare il proliferare di sale gioco nei quartieri più poveri e nelle periferie, non aiuta a governare il fenomeno.
Non resta quindi che attendere per capire se ci saranno interventi più decisi, e se lo Stato troverà il coraggio di limitare la diffusione di un fenomeno sociale che mette a rischio la vita di persone, famiglie e società.