Prodotti agroalimentari tradizionali in Campania e nel Mezzogiorno

E’ a Rocca San Felice, in provincia di Avellino, che lo scorso 08 giugno ha avuto luogo l’interessantissimo convegno sui nuovi PAT (prodotti agroalimentari tradizionali) italiani e nello specifico dell’area campana, su iniziativa del comune e dalla sede operativa di Avellino del Centro di riferimento regionale delle produzioni agroalimentari tradizionali.

L’idea del convegno è nata sulla considerazione degli elevati livelli di qualità raggiunti dal pecorino carmasciano e da altri prodotti, come i salumi di carni suine.

Avere in Campania 530 Pat, il 12 % dei Pat nazionali, significa probabilmente averne troppi. Un quantitativo che rischia di non identificare il territorio.

Gli attuali operatori sanitari del C.Ri.PA.T. sottolineano l’importanza di mettere in moto un meccanismo capace di portare avanti le tradizioni e ciò è possibile grazie al coinvolgimento e all’impegno dei giovani professionisti. Il territorio va distinto per ciò che produce, per i produttori capaci di fare qualità e non quantità. E’ necessario identificare il territorio con il prodotto locale, non solo con le aziende, garantire l’appartenenza del prodotto al territorio, a difesa dell’identità del territorio stesso. Anche i vegetali rientrano nei Pat. Ci sono aziende che partendo dal seme giungono al prodotto finale di qualità.

L’intervento della dott.ssa Maria Francesca Peruzy del Dipartimento di medicina veterinaria e produzioni animali, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, pone l’accento sulla ricerca come supporto alla valorizzazione dei Pat. Nel 2050 saremo 9 miliardi di persone e per le produzioni ci saranno importanti complessità nel supportare una tale crescita. Per recuperare competitività e produttività è necessario che tra enti di ricerca pubblici e privati, mondo politico e principali stakeholder ci siano collaborazione e progettualità che possano esprimersi a livello locale, nazionale ed europeo.

L’obiettivo della ricerca scientifica è la sostenibilità e la qualità degli alimenti. Nel sistema agroalimentare la qualità si identifica innanzitutto come sicurezza alimentare (Commissione Europea, 2000).

La qualità intrinseca dell’alimento – come viene prodotto e quali ne sono i valori nutrizionali – è un progetto che corrisponde all’ “eccellenza”, al “pregio” dell’alimento stesso. La qualità, poi, è legata alla tipicità. Quest’ultima si identifica nei prodotti agro-artigianali che hanno un’identità ben specifica e molto marcata traendo origine dalla forte caratterizzazione del “sistema locale” d’appartenenza.

E’ necessario tutelare la biodiversità (genetica, di specie, di ecosistemi), ovvero la diversità della vita sulla terra, in tutte le sue forme e differenze, e le iniziative di valorizzazione dei prodotti tipici e di qualità, inserendosi in un’accorta e qualificante politica di sviluppo delle aree rurali, possono di fatto svolgere un ruolo primario e decisivo.

I formaggi presentano un alto grado di biodiversità. La ricerca scientifica valorizza i prodotti caseari preservandone i batteri (Listeria monocytogenes) in quanto responsabili del gusto (ad esempio la mozzarella di bufala, la mozzarella della Mortella, il conciato romano, il pecorino di Tramonti). Si occupa, quindi, di come i batteri sopravvivono durante la produzione. E’ stato visto che se variano le temperature di conservazione, gli alimenti poc’anzi menzionati, non subiscono variazioni per via dell’elevata qualità. Ben venga, dunque, l’intervento della ricerca scientifica a sostegno dei produttori per la difesa dei sapori e dei prodotti locali e dei consumatori affinché operino scelte consapevoli.

La dr.ssa Daniela Carlucci, medico veterinario referente C.Ri.P.A.T. Pat ASL Benevento, presenta “Il miele di Sulla e il protocollo agroalimentare tradizionale del Sannio”. 

La sinergia tra alcuni professionisti sanniti ha consentito un confronto di tipo nazionale ed internazionale sulla valorizzazione del miele del Sannio.

I mieli della Campania sono generici, interessando oltre 50.000 addetti. L’apicoltura campana si colloca all’8° posto a livello nazionale, mentre quella beneventana è ultima come numero di apicoltori (147) con una media di 162 cassette per ciascun apicoltore. Nel 2019, Avellino, con il Partenio s’inserisce nel progetto di valorizzazione con ad esempio i mieli di borraggine e di rovo.  In provincia di Benevento i prodotti Pat più importanti non sono di origine animale, ma quelli che utilizzano il miele di sulla come il torrone di Benevento, il Pan Benevento (panettone di tipo locale) e il croccantino di San Marco dei Cavoti.

La sulla (Syllabus) è una leguminosa caratterizzata da fiori rossi particolarmente ricchi di nettare. E’ una pianta che si diffonde soprattutto nelle zone argillose e in quelle collinari. Con il declino dell’allevamento legato allo stretto rapporto con la terra, anche le foraggere sono cambiate. Vengono vendute sementi che prevedono lo sfalcio prima della fioritura, per cui le api non trovano più appeal rispetto tale pianta. Di conseguenza, il quantitativo di miele sul mercato si è drasticamente ridotto. Il miele di sulla è importante perché da sempre utilizzato nelle ricette tradizionali. In linea generale, il miele di sulla è bianco o bianco-avorio. E’ cristallizzato, ma morbido perché i cristalli sono piccoli, quasi cremosi. La consistenza aromatica è debole, sia papillare che odorosa. Tra i difetti possibili ci sono il sentore del fumo perché l’apicoltore eventualmente ha affumicato in più per tenere buone le api, per non essere punto, e piccoli residui di cera.

Le azioni di valorizzazione a sostegno della filiera del miele di sulla, che rischia di scomparire perché il consumatore difficilmente sceglie il miele bianco, coinvolgono le associazioni di categoria per l’informare gli agricoltori circa l’importanza dell’impianto di varietà autoctone con sfalcio post-fioritura, per la promozione di una maggiore informazione perché i consumatori privilegino produzioni locali. Non per ultimo, integrare la scheda del prodotto con una precisa connotazione territoriale, ovvero, “Miele del Sannio”.

Negli ultimi anni ci sono stati momenti di riflessione e confronto circa i Pat.

Sembra presentarsi come urgente il tutelare i prodotti di qualità con certificazioni, e l’introduzione di un sistema sanzionatorio per chi produce senza il rispetto degli standard di protocollo.

I prodotti locali hanno necessità di essere comunicati. Il 93% dei turisti nazionali e internazionali è legato al cibo in maniera esperienziale, e il 71% vuole tornare alle loro abitazioni con prodotti locali. In Campania ci sono importanti difficoltà, malgrado la ricerca scientifica agroalimentare e i controlli di qualità da parte di organismi zooprofilattici. Evidentemente manca la partecipazione giusta, infatti, per quanto concerne la comunicazione e il marketing del mondo del food, la Campania presenta un gap di circa 8/9 anni rispetto la Lombardia e di circa 10/12 anni rispetto il resto dell’Europa. Bisogna far capire anche ai produttori delle eccellenze che l’informazione è importante per fare in modo che i turisti possano avvicinarsi ai prodotti, acquistarli e portarli nei loro luoghi (Italia ed estero) accelerando così il volano dell’economia.

Il dott. Antonio Limone, direttore generale IZSM (Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno) ha chiuso la kermesse sottolineando che la storia della biodiversità campana passa per la passione per il mondo dell’agroalimentare e per le proprie produzioni. Il formaggio carmasciano è un’esperienza davvero importante in tale senso.

Cosa si può fare per evitare l’estinzione della tipicità territoriale? Mettere al centro del sistema gli atenei per costruire progetti del territorio. I territori della regione Campania hanno tanto da offrire. Bisogna cominciare a scorgere le capacità intellettuali e imprenditoriali presenti. Dobbiamo concepire l’idea che le produzioni hanno bisogno della ricerca per evolvere, soprattutto ora che i cambiamenti climatici sono repentini, dobbiamo capire come ciò che esiste potrà ancora esserci. Insistere sulla qualità rifiutando la quantità. Una qualità non contraffatta. Solo guardando lontano ci si può preservare dai fallimenti. Un’inversione di tendenza che mette al centro il rispetto per l’ambiente e la sostenibilità poiché il prodotto di qualità è legato ad un ambiente sano.