Pmi, la pressione fiscale resta il nemico numero uno

ROMA – 4,4 milioni di aziende con 10,8 milioni di addetti, pari al 65% degli occupati delle imprese italiane a cui si aggiunge una produttività, relativa soprattutto al settore manifatturiero, che in cinque anni è aumentata del 18,6% (più del doppio rispetto al contemporaneo +7,3% delle piccole aziende tedesche). Sono questi i numeri riguardanti le piccole imprese nazionali e gli artigiani del “made in Italy” che, ancora una volta, si confermano come uno dei settori trainanti per l’intera economia dello stivale. Le cifre sciorinate nell’ultimo rapporto dell’assemblea nazionale di Confartigianato presentato, lo scorso 18 giugno, a Roma, evidenziano inoltre la nascita, nel 2018, di ben 308 imprese artigiane al giorno.

Dati che, quindi, per certi versi risultano essere addirittura sorprendenti, specialmente se inseriti in un contesto nazionale che, come sottolineato dallo stesso presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti, “tende da anni alla stagnazione”. Tuttavia, dall’assemblea nazionale avuta luogo nella capitale, emerge anche il dato relativo alla pressione fiscale che si conferma, ancora una volta, il nemico numero uno per le piccole imprese italiane. Anche in questo caso, a scattare l’esatta fotografia, ci aiutano i dati diffusi dal Rapporto di Confartigianato della qualità della vita delle imprese europee: nel 2019, infatti, il carico fiscale in Italia arriva a toccare il 42,4% del Pil, rispetto al 41,3% della media dell’Eurozona. In sostanza, nel “bel paese”, vengono pagati 19 miliardi di tasse in più rispetto alla media dei Paesi appartenenti all’Unione Europea. Ciò significa, pertanto, un maggior prelievo di 314 euro per ogni abitante della nostra nazione.

Dal Rapporto presentato presso il “Roma Convention Center – La Nuvola” emerge, ancora, che nel 2018, un’impresa italiana è costretta a sprecare 238 ore per pagare le imposte, 67 ore in più della media europea. Un ulteriore primato negativo per lo stivale rispetto al resto dell’Eurozona è, anche, rappresentato dalla tassazione sull’energia pagata dalle nostre piccole imprese: una bolletta elettrica, in Italia, risulta infatti essere più cara di 1,5 miliardi rispetto alla media europea. Infine, il costo del lavoro pagato dalle piccole imprese italiane per i propri dipendenti (5,9 milioni) ammonta, complessivamente, a 174 miliardi di euro, con un cuneo fiscale, sul costo del lavoro dipendente, pari al 47,9%, che significa 11,8 punti in più del 36,1% della media dell’Organizzazione per lo cooperazione e lo sviluppo economico.

Un’ulteriore distanza ancora da colmare, con l’Europa, riguarda ancora quella relativa agli investimenti pubblici fissi lordi, con il nostro Paese che investe, nel 2019, ben 11 miliardi in meno, rispetto a quelli appartenenti alla UE. Anche dal punto di vista del credito, l’Italia, dimostra di essere ancora particolarmente indietro, con i finanziamenti alle piccole imprese diminuiti dell’1,1%. Un gap, quelli con le nazioni dell’Eurozone, che si riflette anche sulla burocrazia e sulla giustizia civile: basti pensare che, per venire a capo di contese commerciali, le imprese dello Stivale, devono attendere circa 1.120 giorni, equivalenti al doppio della tempistica rispetto ai Paesi dell’Unione Europea.

Proprio per questo motivo, il presidente di Confartigianato Merletti, ha sollecitato, nel corso del suo intervento, il Governo ad “invertire il rapporto tra spesa per investimenti e crescita e spesa corrente per assistenza”, pur riconoscendo, all’Esecutivo gialloverde, le “tante misure positive per le imprese” entrate in agenda soprattutto “in tema fiscale o come incentivi per investimenti e assunzioni”. Ma per Merletti occorre, comunque, un’inversione di tendenza, anche perché, secondo il presidente di Confartigianato, “non c’è ancora la necessaria spinta all’economia, con la crescita che resta quasi inesistente”.