“L’uomo è pienamente tale solo quando gioca”, afferma Schiller.
Solo giocando, infatti, l’uomo può liberare la propria mente da influenze esterne, quale ad esempio il giudizio di altri.
Questo perché il gioco non ha altra finalità se non il gioco stesso, ed è quindi, come si diceva, l’unica attività che viene scelta per se stessa, e non perché si intende ottenere un vantaggio o per uno scopo esterno.
I giochi sono creati pensando proprio alle persone.
Nei giochi ci si emoziona, si creano amicizie, le persone competono, perdono la cognizione del tempo…
L’uomo adulto diventa come il bambino che gioca con un pezzo di pietra e crea un mondo diverso, perché crede indipendentemente dalla volontà di credere.
E’ la sua realtà.
Egli ha a disposizione un’unica possibilità, la dimensione dell’immaginario e del fantastico: gioca quando comunica e comunica perché gioca.
Il sentimento inonda tutte le parti del corpo, i muscoli, i nervi, le viscere e preme per esprimersi usando l’unico strumento a disposizione: il gesto/azione.
Proprio in virtù di questo, il gioco è diventato un ottimo strumento nella didattica.
Con il termine gamification s’intende un insieme di processi e pratiche dove attraverso l’uso di dinamiche, meccaniche e strategie proprie del gioco si cerca di motivare, attivare e coinvolgere qualcuno ad agire in una situazione non ludica.
La gamification si basa sugli studi della scienza comportamentale, sulle teorie motivazionali e sulla psicologia umana, per coinvolgere le persone: un mezzo efficace, in grado di trasmettere messaggi per insegnare e stimolare l’attenzione e il coinvolgimento attivo.
Questo è reso possibile grazie all’opportunità di scendere nell’esperienza, di sperimentare. Infatti, il “giocatore” è sempre attivamente coinvolto nel processo ludico.
Nella vita quotidiana non capita spesso di provare gli stessi incanti e sensazioni che si percepiscono durante i giochi. E se pensiamo al nostro lavoro elementi quali la fretta, la trascuratezza, la scarsità di conoscenza delle norme di sicurezza, affermeremo con assoluta certezza che queste sono alcune delle principali cause di infortuni.
Fare sicurezza sul lavoro è sempre più complicato.
Il tempo è sempre tiranno, le persone hanno altre precedenze, i soldi non ci sono e tanti altri ostacoli si frappongono quotidianamente tra chi (vorrebbe) fare prevenzione e chi invece si lascia preda dell’arretratezza culturale.
La cosa più assurda è che, in questa situazione drammatica, ci sono ancora centinaia di “consulenti” e aziende affini, che si limitano a produrre scartoffie, a fare DVR copia incolla, a mandare in stampa attestati come in una catena di montaggio con un approccio ormai superato e inefficace. A ciò, si aggiungano metodologie d’insegnamento poco coinvolgenti e la superficiale partecipazione dei lavoratori, per avere un quadro chiaro delle difficoltà nella gestione della formazione aziendale.
Orbene, anche il formatore nel campo della sicurezza può avvalersi di una formazione di tipo “esperienziale” quale quella del gioco, per garantire un’esperienza formativa coinvolgente e stimolante, in grado di innescare una maggiore interazione tra docente e discenti e, quindi, facilitare l’apprendimento.
L’espressione gamification, infatti, viene impiegata anche per indicare i serious game, giochi che legano simulazione ed elementi ludici a scopo formativo. Questi giochi facilitano lo sviluppo di nuove competenze consentendo ai dipendenti/giocatori di operare in scenari plasmati su situazioni provenienti dal loro ambiente di lavoro. La simulazione permette di spostare la teoria in pratica e di apprendere mentre si gioca.
Non è la solita formazione: si distingue dai tradizionali metodi di formazione d’aula per la forte e attiva partecipazione.
Non elimina metodologie e mezzi tradizionali ma li adopera per sistematizzare e consolidare l’apprendimento, facilitando la trasferibilità dei comportamenti appresi nella propria realtà lavorativa.