Dipendenti PA: l’Italia indietro in Europa, ma arrivano 5mila nuove assunzioni

Tre milioni e duecentodiciannovemila dipendenti pubblici, pari al 14% del totale degli occupati, distribuiti in modo disomogeneo sull’intero territorio nazionale e con una media decisamente inferiore rispetto a tutte le altre principali economie dell’Unione Europea che colloca, l’Italia, come il quarto Paese del Vecchio Continente con il valore più basso di dipendenti nella PA. E’ quanto emerge dai dati raccolti dalla ricerca portata avanti dal “Centro studi ImpresaLavoro”, realizzata su elaborazione di dati Istat, Eurostat e Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Analizzando più specificatamente le cifre di Eurostat, infatti, ci accorgiamo che in questa speciale classifica, relativa al contesto europeo ed in particolare ad alcune nazioni UE considerate nell’analisi, l’Italia si colloca dietro solo ai Paesi Bassi (13%), al Lussemburgo (12%) e alla Germania (10%). Soltanto questi tre Stati, quindi, hanno meno dipendenti pubblici del Belpaese in rapporto agli occupati. Situazione completamente diversa, invece, si registra nei paesi scandinavi: Svezia (29%), Danimarca (28%) e Finlandia (25%) doppiano, in pratica, la percentuale di dipendenti pubblici in rapporto agli occupati registrata in Italia, guidando questa speciale graduatoria. Analogo discorso, seppur con percentuali decisamente più ridotte, per Francia (22%) e Regno Unito (16%), avanti comunque al nostro Paese per percentuale di dipendenti nella PA.

La ricerca del “Centro studi ImpresaLavoro”, in ogni caso, approfondisce anche i dati relativi alle singole regioni italiane: in questo caso, a primeggiare nell’analisi che prende in esame il rapporto fra il numero dei dipendenti pubblici e quello degli occupati, è la Valle d’Aosta che con il 21,4% conta, in media, più di un dipendente della PA ogni cinque occupati. Subito dietro, però, ci sono ben sette regioni meridionali: Calabria (21,4%), Sicilia (20%), ma anche Sardegna (19,4%), Basilicata (17,8%), Molise (17,5%), Puglia (17,2%) e Campania (16,9%). Dobbiamo, però, scendere dal nono all’undicesimo posto per ritrovare due regioni del Nord: si tratta di Trentino Alto Adige (16,8%) e Friuli Venezia Giulia (16,5%). In coda alla graduatoria compaiono, invece, il Piemonte (11,9%), l’Emilia-Romagna (11,6%), il Veneto (10,5%) e la Lombardia che, con il suo il 9,3%, registra un numero dipendenti pubblici in rapporto agli occupati fra i più bassi d’Europa.

«Stipendio e posto di lavoro dei dipendenti nelle aziende private dipendono dalla loro produttività e dall’effettiva capacità di stare sul mercato. Quelli dei dipendenti pubblici, invece, sono garantiti a prescindere dai risultati ottenuti», sottolinea Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro, in merito alla ricerca. «La presenza disomogenea di questi lavoratori sul territorio nazionale – aggiunge ancora – suggerisce peraltro come in determinate regioni italiane l’impiego pubblico sia stato e continui a essere considerato un efficace ammortizzatore sociale».

Intanto, solo poche ore fa, è stato firmato dai titolari della P.A., Giulia Bongiorno, e del Mef, Giovanni Tria, il decreto che sblocca oltre cinquemila nuove assunzioni, fra mobilità, scorrimento di graduatorie e nuovi concorsi, per la Pubblica Amministrazione centrale. Il provvedimento, nello specifico, interessa diversi ministeri, ma anche la Lilt (Lega Italiana per la lotta contro i tumori), l’Avvocatura dello Stato, oltre a numerosi altri Enti. Soddisfatti dal decreto, seppur soltanto parzialmente, i sindacati ed in particolare la segreteria confederale della Cgil, Tania Sacchetti, che dichiara: «Bene sbloccare le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni centrali, ma 5mila posti sono una goccia nel mare rispetto alle reali necessità, solo il 5% rispetto alle uscite previste per ‘Quota 100”. Da tempo – aggiunge la Sacchetti – nel silenzio del dibattito pubblico e politico su questi temi, denunciamo l’emorragia di dipendenti nella pubblica amministrazione. Un’emorragia che riguarda in particolar modo chi svolge i lavori più faticosi, cioè coloro che erogano servizi direttamente ai cittadini, come nel settore sanità, istruzione e negli enti locali. Questa situazione potrebbe causare – chiosa la segretaria confederale della Camera del Lavoro – l’impoverimento dei servizi e in alcuni territori addirittura la chiusura, pregiudicando così la tenuta e il necessario rilancio del sistema di welfare» .