“La popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale, sia in società sia sul posto di lavoro”. (dal report Skills Outlook 2019 dell’Ocse).
La società digitale è ormai realtà e nei prossimi anni, considerati i cambiamenti radicali che si stanno mettendo in moto ( 5G, ingegneria robotica, intelligenza artificiale, ecc. ), il processo si intensificherà e occorrerà che tutti gli addetti dei vari settori sappiano dialogare con la tecnologia. Solo pochi paesi, tra cui Belgio, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, stanno crescendo in termini di competenze digitali. Gli altri sono in ritardo. Secondo il rapporto Ocse “Skills Outlook 2019”, se da un lato nazioni come Giappone e Corea sembrano avere il potenziale per compiere maggiori sforzi al fine di permettere che i lavoratori più anziani non siano lasciati indietro, dall’altro Cile, Grecia, Italia, Lituania, Repubblica Slovacca e Turchia non appaiono in grado di fare altrettanto: le persone quindi non saranno in grado di acquisire le competenze necessarie per prosperare nel mondo digitale. In particolare, l’Italia, pur avendo delle punte di eccellenza, ha un ritardo drammatico di fronte a questi cambiamenti. Nel report citato, si legge che solo il 36% degli italiani è in grado di utilizzare Internet in maniera complessa e diversificata. Il problema riguarda soprattutto gli adulti e gli anziani, se si pensa che un over-29 su tre non ha alcuna capacità di comprensione dei sistemi tecnologici. Un risultato che si piazza ben al di sotto della media Ocse (17%) e, riguardo al quale, non può certo consolarci il fatto di essere in una posizione di assoluto vantaggio rispetto alla Turchia, in cui il 60% degli adulti non sa usare Internet o addirittura non ha mai avuto esperienze informatiche. Il discorso muta radicalmente per quanto riguarda le nuove generazioni: i giovani dai 16 ai 29 anni hanno un livello soddisfacente di competenze nell’utilizzo del computer, così come gli under-15 che si piazzano in linea con la media mondiale. Sempre secondo il report, le cose non vanno meglio quando l’analisi si focalizza sul mondo del lavoro. I lavoratori italiani utilizzano l’ICT (Information andCommunication Technologies) sul lavoro, ma meno intensamente che in molti altri paesi Ocse. Infatti il 13,8% dei lavoratori contro il 10,9% dei Paesi Ocse, figura in posizioni ad alto rischio di automazione e avrebbe dunque bisogno, suggeriscono gli analisti, di un significativo percorso di formazione (fino a un anno) per passare a occupazioni più “sicure”, ossia con basso o medio rischio di automazione. Un altro 4,2% evidenzia sempre l’Ocse avrebbe bisogno di una formazione intensa (fino a tre anni) per evitare l’alto rischio di automazione sul posto di lavoro. Tuttavia, solo il 30% degli adulti ha ricevuto formazione negli ultimi 12 mesi, contro una media Ocse del 42%. Da notare poi che sussiste un differenziale di genere – a discapito delle donne – nell’uso di ICT e nell’accesso a Internet. Il ritardo nella preparazione digitale si ripercuote ovviamente sul mercato del lavoro. Nonostante l’elevato tasso di disoccupazione giovanile (24%), la richiesta di nuove figure collegate proprio alla conoscenza digitale (robotic & automation manager, cognitive computing expert) rimane in parte inevasa poiché questi profili professionali sono di difficile reperimento. Sul piano delle imprese, mentre quelle con 250 e più addetti – circa la metà delle quali rientra fra gli innovatori 4.0 ad alto potenziale (e sommando a questo dato anche i possibili innovatori si raggiunge l’88% del totale) – non sembrano avere problemi, il discorso cambia radicalmente per le aziende di dimensioni minori: la percentuale di Pmi che vendono online è dell’8% (dopo di noi solo la Bulgaria mentre Spagna e Germania arrivano rispettivamente al 20% e al 23%). Entrando nello specifico, secondo il Centro Studi di Confindustria – che si basa sulle rilevazioni Istat – l’89% delle 67.000 piccole imprese manifatturiere, comprese fra i 10 e 49 addetti, sono ancora oggi analogiche o digitali incompiute . Tenendo presente che, oltre al preoccupante quadro delineato, gli italiani non brillano nemmeno nelle competenze linguistiche e matematiche, vengono a determinarsi condizioni di squilibrio rispetto agli altri Stati europei. Il basso livello di competenze di buona parte della manodopera ha come conseguenza la diminuzione di domanda di lavoro qualificato da parte delle imprese e una spinta sempre minore a investire in innovazione.Dunque sono necessari interventi urgenti di politiche educative che influiscano sulla crescita e sulla capacità di innovazione della società per modificare una situazione che di fatto costituisce un ostacolo allo sviluppo.