Se non facciamo nulla ora per contenere l’aumento della temperatura entro 2 °C a fine secolo il riscaldamento potrà oltrepassare i 5°C, con conseguenze gravissime sull’ambiente e per l’uomo!
I fenomeni climatici istantanei e di breve durata – uragani e tifoni, trombe d’aria, inondazioni – sono divenuti, negli ultimi anni, sempre più frequenti e sempre più intensi.
Nello stesso tempo, si accentuano inesorabilmente i fenomeni climatici di lunga durata (i cosiddetti slow onset events) i cui effetti dannosi si accumulano nel tempo: di anno in anno si accresce l’acidificazione e il livello degli oceani, aumentano le temperature medie, si riducono i ghiacciai, progrediscono il degrado delle foreste e la perdita della biodiversità, si riduce e si modifica il patrimonio ittico, si estende la desertificazione.
Con modalità, impatti e tempi diversi, questi fenomeni sono la causa di danni alle persone e all’ambiente: sono danni di diretta o indiretta rilevanza economica (per i quali sono possibili delle stime) ma sono anche danni non economici o con impatto economico difficilmente valutabile, che tuttavia possono avere conseguenze assai gravi e irreversibili nell’assetto sociale degli stati colpiti (si pensi all’effetto delle forzate migrazioni da luoghi che non consentono più la sopravvivenza nelle località colpite). I danni conseguenti al cambiamento climatico solo da pochi anni sono divenuti uno degli argomenti più importanti nell’ormai consistente corpo di normative che costituisce la climate law e sono noti con l’espressione loss and damage (perdita e danno).
In realtà, i danni provocati dal cambiamento climatico sono stati presi in considerazione già nel 1992 con la Convenzione Rio de Janeiro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) firmata da quasi tutti i Paesi, poi nel 1997 dal Protocollo di Kyoto e nel 2015 dall’Accordo di Parigi per ridurre le emissioni climalteranti.
Questo ultimo accordo ha impegnato 195 Paesi a mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale al di sotto di 2 °C, e a fare il possibile per limitare l’aumento a 1,5 °C (uno scarto di mezzo grado che per molte zone costiere e comunità insulari equivale alla differenza tra sopravvivere e arrendersi all’avanzata dei mari). Tuttavia gli sforzi della politica negli ultimi decenni non sono stati sufficienti e le emissioni di gas serra sono cresciute raggiungendo attualmente la concentrazione di CO2 di circa 410 parti per milione, il valore più elevato degli ultimi tre milioni di anni, noto attraverso i carotaggi dei ghiacci dell’Antartide e dei sedimenti marini. Un rapporto della World Meteorological Organization (22 settembre 2019) ha definito il quinquennio 2015-2019 come il più caldo di sempre. La temperatura media del pianeta, secondo il rapporto WMO, è aumentata di 1,1°C dal periodo preindustriale a oggi. Con un picco straordinario, +0,2°C, nel solo ultimo quinquennio. Nel frattempo, i leader politici mondiali che si sono riuniti a New York (23 settembre 2019) per il Climate Action Summit, sono ben lontani dall’onorare gli impegni di riduzione delle emissioni inquinanti presi con gli Accordi di Parigi. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i cambiamenti climatici causeranno ulteriori 250.000 morti all’anno entro il 2030, tenendo conto solo di cinque aspetti: malnutrizione, malaria, diarrea, dengue e ondate di calore. Per quanto riguarda l’Italia, secondo il Rapporto 2019 dell’Osservatorio di Legambiente sull’impatto dei mutamenti climatici, le città sono l’ambito più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici, perché è lì che vive la maggior parte della popolazione e perché episodi di piogge, trombe d’aria ed ondate di calore hanno ormai assunto proporzioni crescenti e destinate purtroppo ad aumentare. Tutto ciò è stato dimostrato dalle inondazioni che nei giorni scorsi hanno colpito Venezia, Matera e Pisa e gli eventi meteorologici estremi che si sono abbattuti su molti territori e che colpiscono la penisola con sempre maggiore frequenza.
Dunque bisogna intervenire e agire prima di tutto a livello politico: i principali Paesi emettitori devono impegnarsi a fare di più per limitare l’introduzione di nuovi inquinanti in atmosfera.
In questa sfida che si gioca per il nostro futuro, ognuno col proprio stile di vita può dare il proprio contributo e svolgere un ruolo importante. Individualmente, bisognerebbe tenere uno stile di vita “a basso impatto ambientale” scegliendo, ad esempio, di usare i mezzi pubblici per i piccoli spostamenti, ridurre il consumo del riscaldamento in casa. Anche l’alimentazione svolge un ruolo fondamentale: ad esempio, è un’abitudine sbagliata mangiare le fragole in inverno che, come molti altri prodotti non di stagione, viaggiano per migliaia di chilometri.
Inoltre anche il consumo di carne rossa incide moltissimo sull’ambiente. Sia per quanto riguarda gli allevamenti sia per quanto riguarda la produzione dei gas da parte dei bovini.
Tutto questo potrebbe far pensare a una decrescita infelice ma non è così. Il termine più giusto è sobrietà , un termine usato anche da Papa Francesco nella sua Enciclica.
Ecco, bisogna tornare ad uno stile di vita più sobrio, per noi stessi e per il bene di tutti: il riscaldamento globale è un’emergenza, non un dibattito.
Insomma più Friday for the future e meno black friday!