Secondo l’indagine 2018 solo in matematica i quindicenni italiani risultano in media con gli altri Paesi; per il resto l’Italia è abbondantemente sotto e addirittura tra il 23esimo e il 29esimo posto per capacità di lettura. Si confermano il divario tra Nord e Sud, tra maschi e femmine e tra licei e istituti professionali
Da pochi giorni sono stati diffusi i risultati dell’atteso rapporto PISA- acronimo di programma per la valutazione internazionale dello studente -2018 di OCSE che ogni tre anni misura le performance dei quindicenni italiani su diversi aspetti, fra cui la capacità di lettura e comprensione testuale.
I dati forniti dall’indagine OCSE-PISA, che ha coinvolto circa 600 mila studenti nel mondo (11.785 sono i ragazzi del campione italiano) individuati nei 79 Paesi dell’OCSE, sono ancora una volta negativi per gli studenti italiani.
E peggiorano rispetto a rilevazioni di dieci anni fa o del 2000. I risultati confermano i miglioramenti degli studenti italiani in matematica. Rimangono invece sotto la media Ocse per la lettura, definita come la capacità di comprendere, utilizzare, valutare, riflettere e farsi coinvolgere da un testo.
Peggiorano anche le capacità nelle scienze. Si confermano inoltre il divario tra Nord e Sud, tra licei e professionali – qui il gap fa impressione – e le differenze di genere.
In sintesi, il report illustra quanto segue: il punteggio dell’Italia nella lettura è di 476 contro 487 della media Ocse. Il nostro Paese si colloca tra il 23° e il 29° posto tra i paesi Ocse.
Solo un quindicenne su venti riesce a distinguere tra fatti e opinioni quando legge un testo di un argomento a lui non familiare. La media Ocse è di uno su dieci. Mentre, gli studenti che hanno difficoltà con gli aspetti di base della lettura sono uno su quattro: non riescono ad identificare, per esempio, l’idea principale di un testo di media lunghezza.
L’Italia è a livello di Svizzera, Lettonia, Ungheria, Lituania, Islanda e Israele. Le province cinesi di Pechino, Shanghai, Jiangsu, Zhejiang, oltre a Singapore ottengono un punteggio medio superiore a quello di tutti i paesi che hanno partecipato alla rilevazione.
Entrando in maggiore dettaglio nel quadro (deludente) appena delineato, gli studenti italiani risultano un po’ più bravi nei processi di comprensione (478) e di valutazione e riflessione (482), ma stentano nell’individuare informazioni (470).
La novità è che per la prima volta sono state introdotte letture tratte anche da testi digitali per testare le conoscenze della generazione Z, nata nel 2004, che legge e s’informa sul web Si conferma inoltre il divario tra Nord e Sud: gli studenti delle aree del Nord ottengono i risultati migliori, al di sopra della media Ocse (Nord Ovest 498 e Nord Est 501), mentre i loro coetanei delle aree del Sud sono quelli che presentano le maggiori difficoltà (Sud 453 e Sud Isole 439).
Saltano agli occhi anche le differenze tra liceali, che ottengono i risultati più brillanti (521), e i ragazzi degli Istituti tecnici (458) e professionali (395) e della formazione professionale (404).
Per quanto riguarda le differenze di genere, in lettura le ragazze superano i ragazzi di 25 punti; nel Nord-Est e nel Sud Isole il divario arriva a 30 e 35 punti di differenza.
Il vantaggio delle ragazze è confermato anche da una presenza maggiore di ragazzi che non raggiungono il livello minimo di competenza: circa il 28% contro il 19%. In matematica va meglio. Gli studenti italiani hanno ottenuto un punteggio medio (487 – era 490 nel 2015) in linea con la media dei paesi Ocse (489). Un risultato simile a quello di Portogallo, Australia, Federazione Russa, Repubblica Slovacca, Lussemburgo, Spagna, Georgia, Ungheria e Stati Uniti. Anche qui le differenze si fanno sentire confermando una scuola italiana a due velocità. Gli studenti del Nord Est, con un punteggio di 515, e quelli del Nord Ovest, con 514, ottengono risultati migliori – che superano quelli per esempio degli studenti della Finlandia e della Svezia – rispetto agli studenti del Centro (494), del Sud (458) e del Sud Isole (445). In particolare le due province di Trento e Bolzano hanno ottenuto risultati non dissimili dai Paesi scandinavi. Peggiora la situazione delle competenze in scienze: il punteggio è di 468 contro la media Ocse di 489. Nel 2015 era di 481. Insomma, siamo in caduta libera e il problema non è tanto il possesso di nozioni scientifiche, ma la capacità di applicazione del metodo scientifico. Anche il contesto socioeconomico gioca un ruolo: a parità di competenze, si rileva una maggiore difficoltà a immaginare il proprio futuro se i ragazzi vengono da condizioni svantaggiate dal punto di vista sociale. Gli studenti eccellenti che intendono conseguire un titolo di studio dopo il diploma sono 9 su 10 se provengono da un contesto socio-economico avvantaggiato; scendono a 6 su 10 se sono socio-economicamente svantaggiati. Restano forti anche gli stereotipi di genere: le aspettative di carriera degli studenti con i risultati migliori in matematica e scienze lo dimostrano. Un ragazzo su quattro prevede di lavorare come ingegnere o come professionista nelle scienze all’età di 30 anni mentre, tra le ragazze, solo una su otto immagina tale tipo di carriera.
Il rapporto mette dunque in luce gli enormi divari del nostro sistema d’istruzione (tra nord e sud, tra centri e periferie, tra ricchi e poveri, tra tipi di scuole, licei, istituti tecnici e professionale) dovuti presumibilmente al basso, diseguale e cattivo investimento nella scuola del nostro Paese. Heckman ha vinto un Nobel proprio dicendo che gli investimenti a maggior ritorno per uno Stato sono quelli compiuti sul capitale umano, investimenti tanto più efficaci quanto più precoci.
La cultura è il solo strumento per combattere l’ingiustizia sociale: ci permette di evadere dal “carcere dell’ignoranza” perché è con la cultura che una persona esercita a pieno il suo compito di cittadino attivo. Se la politica non ricomincia a credere nella scuola come strumento di emancipazione non riusciremo a formare allievi in grado di competere con le sfide del terzo millennio.Per quanto riguarda la nostra regione la situazione è ancora più triste. Qui, ai dati poco incoraggianti accennati in precedenza, si aggiungono infatti quelli del rapporto Svimez sulla dispersione scolastica nelle regioni del Mezzogiorno. Una dispersione al 14,5% nel 2018 in crescita dello 0,5% sul 2017 con punte del 18,8% nel sud. Purtroppo è una materia drammaticamente attuale, un fenomeno che mina alla base le possibilità di crescita della nostra Regione, che contamina ogni aspetto della nostra vita, a tutti i livelli, compreso quello della delinquenza. Perché, va subito detto, la nostra regione è agli ultimissimi posti in Italia in quanto a tasso di abbandono scolastico, esattamente terza, con un tasso del 19.1 %, peggiore di cinque punti del dato nazionale, che pure ci pone agli ultimi posti in Europa. Cifre spaventose che danno la misura dello stato in cui versa l’istruzione pubblica e che spiegano molto bene il perché la Campania, se pur in fase di lento miglioramento, continua ad arrancare in molti settori, primo fra tutti quello dell’occupazione. Quasi il 20% dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze, appartenenti soprattutto a fasce sociali deboli e svantaggiate, al termine dei loro studi si ritrova in tasca la sola licenza di scuola media, aggravando ulteriormente le disuguaglianze già esistenti e riverberando le conseguenze su fenomeni come la microdelinquenza, la disoccupazione giovanile, l’incapacità di crescita in termini di civiltà della società tutta. Ricordiamo che pochi anni fa l’Unione Europea aveva stabilito che gli stati membri avrebbero dovuto mettere in campo azioni per far scendere entro il 2020 il tasso di abbandono al di sotto del 10%, obiettivo evidentemente fallito, tanto che questo target è stato successivamente riparametrato. Di fatto la dispersione scolastica non scende, anzi rimane molto alta, nonostante gli interventi ministeriali, i tanti finanziamenti europei e l’attenzione riservata, in vari scenari, al tema della lotta all’abbandono.
E la cosa drammatica è che a questo già alto livello di dispersione scolastica vanno aggiunti i tantissimi ragazzi e ragazze (quantificati intorno al 13% per la Campania) che magari al diploma ci arrivano, ma in maniera così precaria da non acquisire un livello di conoscenza minimamente competitivo per l’inserimento nel mondo del lavoro. In pratica, nella nostra regione, uno studente su tre non ha le capacità e le competenze per transitare nel mondo del lavoro o, nel migliore dei casi, riesce a svolgere lavori che richiedono una bassissima qualifica, con bassissimi salari (spesso in nero) e in una concorrenza spietata con la manodopera straniera. Le conseguenze, che poi spiegano il perché la lotta alla dispersione debba essere considerata una priorità per tutti, sono facili da comprendere. Per molti ragazzi e ragazze si prospetta una vita adulta minata alla base da un basso livello di competenze, tale da non permettere quella elaborazione autonoma di informazioni che una società complessa come la nostra richiede. Un giovane su tre, in Campania, se non si mette in campo una lotta seria senza quartiere alla dispersione scolastica, non sarà capace di elaborare le nozioni necessarie per il proprio progetto di vita e men che meno avrà la possibilità di un lavoro decente.