Il diritto al ricordo di una umanità in pericolo

La Germania nazista, spinta da ovest dagli eserciti alleati degli inglesi e degli statunitensi e da est dall’Armata Rossa, sul punto di capitolare restituisce al mondo civile l’infamia dei campi di concentramento.

Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche abbattono il reticolato del campo di Auschwitz, in Polonia e, come usciti da un libro di Bram Stoker, comincia a presentarsi agli occhi degli esterefatti soldati lo spettacolo terrificante della sfilata degli zombie.

I superstiti di Auschwitz, nella loro muta e avvilente sfilata, hanno lanciato all’umanità il grido più forte che si sia mai udito.

La civiltà occidentale, pur pregna di pensiero classico, umanistico, rinascimentale ed illuministico, non poteva di certo immaginare e credere che nel proprio seno e in nazioni dalla cultura millenaria, come la Germania e, purtroppo, anche l’Italia, avessero potuto crescere e germogliare i germi e i semi dell’intolleranza e della ricerca di un nemico a tutti i costi, grazie al quale giustificare le proprie carenze e le proprie deficienze.

Quella fredda giornata di gennaio del 1945 consegna ai posteri la consapevolezza che anche nel cuore della civile e religiosa Europa si potesse consumare il più grande misfatto che l’umanità possa ricordare conducendo alla morte milioni di uomini, donne e bambini scelti a causa solo della loro appartenenza alla razza ebraica o per essere gitani o omosessuali.

La Cancelleria del III Reich a Berlino, con il sostegno di Palazzo Venezia a Roma, ha trasformato e deformato, di colpo, popoli civili in veri ed autentici barbari annichilendo anche le coscienze più fulgide di mezza Europa per far posto ad un rigurgito degno di una era primitiva e primordiale.

La lezione della storia forse non è stata sufficiente se ancora oggi i campi di concentramento e l’ottundimento delle coscienze per fini propagandistici caratterizzano le politiche di interi stati e di gruppi di potere rappresentativi di interessi economici e politici oscuri che si nascondono abilmente dietro il velo di religioni e valori.

Ciò che è successo nella Jugoslavia del dopo Tito, che pure, a sua volta, si era distinto per il massacro degli italiani “infoibati”, o ciò che succede in Africa, in America latina e nel medio oriente nella versione iraniana e anti israeliana sta lì a ricordare che i corsi e i ricorsi di vichiana memoria sono una realtà ancora presente.

Tutto può ripetersi, anche le cose più nefaste e orripillanti. Quella stella, gialla o di altro colore, può ancora essere appuntata a al petto di chiunque come il marchio numerico e spersonalizzante sulle braccia.

E allora il 27 gennaio di ogni anno non è soltanto il giorno del “dovere del ricordo” ma è soprattutto il giorno in cui l’umanità ha conquistato definitivamente il “diritto al ricordo” per evitare che le minoranze di ogni tipo possano subire il sopruso di maggioranze non sempre illuminate e democratiche.

L’umanità ha il diritto e non solo il dovere di ricordare!