“Allora mettiamo caso che tu ogni mese prendi un cinghiale: a gennaio una freccia, un cinghiale; febbraio, una freccia, un cinghiale. Poi arriva dicembre, tiri la tua freccina… e trovi due cinghiali! Ti è mai successo? Si chiama tredicesima! Se il tuo cuore non conosce questa gioia allora taci, perché i tuoi dei ti hanno condannato alla partita IVA.(Checco Zalone).
Dal primo gennaio 2020 sono cambiate leggermente le regole per l’accesso al regime forfettario per le partite Iva.
Mentre nel 2019 il regime forfettario ha vissuto una vera e propria impennata con un +35,8% nel secondo trimestre del 2019, quando la metà delle nuove partite Iva aveva potuto godere del forfait, ora – come prevede la legge di bilancio 2020 – l’adesione al regime non è possibile per chi, nell’anno precedente, abbia percepito introiti da lavoro dipendente superiori ai 30.000 euro.
Recentemente anche il sottosegretario all’Economia Cecilia Guerra, a margine di un evento organizzato dall’AnC, ha affermato che le modifiche al regime forfettario riguardano l’anno fiscale 2019. Pertanto, le varie cause ostative introdotte sono già valide senza alcuna deroga, come speravano la gran parte dei professionisti e delle microimprese che, negli anni passati, avevano fatto il passaggio dal regime IVA ordinario a quello dei minimi o forfettario. Ciò significa che 10.000 lavoratori dovranno immediatamente rinunciare (in quanto non sarà più conveniente da un punto di vista fiscale) alla partita Iva aperta nel 2019. Ovviamente le maggiori preoccupazioni riguardano il limite dei 30 mila euro di redditi da lavoro dipendente.
La finanziaria varata dal Governo Conte Bis, infatti, prevede che i contribuenti che nell’anno precedente abbiano percepito più di 30 mila euro di reddito da lavoro dipendente o assimilati non possano restare nel regime forfettario. Chi supera questa soglia, dunque, deve scegliere se passare alla partita IVA ordinaria o scegliere un’altra tipologia di rapporto lavorativo.
Finanche l’Osservatorio Statistico del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha calcolato che nel giro di qualche mese 3,5 mila neo iscritti over 65 e circa 4mila autonomi fra i 51 e 65 anni con redditi superiori ai 30 mila euro l’anno chiuderanno la partita Iva rinunciando ai propri introiti. Ma le novità peggiori, sono per quei lavoratori che non superano il guadagno annuo di 65.000 euro, ovvero coloro per i quali può essere adottato il cosiddetto regime forfettario.
Fino a ora per questi lavoratori autonomi veniva applicata una percentuale del 15% (5% per i primi cinque anni di attività) su un reddito abbattuto forfetariamente a seconda dei settori di attività.
Dunque la non cumulabilità del reddito e l’impossibilità di detrarre oltre i 20.000 euro delle spese sostenute per i collaboratori e i dipendenti o per il personale comunque assunto rende impossibile la vita ai piccoli imprenditori che si vedono costretti a chiudere la propria posizione perché non più conveniente.
Si tratta senza dubbio di una mannaia pesantissima che andrà a colpire coloro che – figli della grande crisi – erano riusciti, nell’ultimo anno, a reinventarsi come lavoratori autonomi: start up, giovani imprenditori, ultra cinquantenni espulsi dal mercato del lavoro, pensionati che volevano arrotondare.
Inoltre la manovra sembra orientata a colpire i lavoratori autonomi sulla base di un preconcetto che li dipinge, nell’immaginario collettivo, come evasori fiscali poco rispettosi delle norme.
La Cgia di Mestre evidenzia invece che il prelievo medio dell’Irpef sui lavoratori autonomi è nettamente superiore a quello in capo ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Secondo i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2018, infatti, l’Irpef media versata dai lavoratori autonomi è di 5.091 euro, quella in capo ai lavoratori dipendenti ammonta a 3.927 e quella dei pensionati a 3.047 euro. In altre parole, le Partite Iva pagano il 30 per cento in più di Irpef all’anno rispetto ai dipendenti e il 67 per cento in più di quanto versano i pensionati . Dunque è da smentire la tesi che in Italia le tasse sono onorate quasi esclusivamente da coloro che subiscono il prelievo fiscale alla fonte anche se nessuno nega che tra i lavoratori autonomi ci siano delle aree di evasione o di sotto-dichiarazione che, ovviamente, vanno assolutamente sradicate. Non mancano le reazioni da parte di questa categoria di lavoratori che comincia a sentirsi vessata.
Per farsi un’idea della situazione, basta navigare tra i post del gruppo Facebook “Partite Iva, insieme per cambiare”, il cui sottotitolo piuttosto esplicito è “insieme per ribellarci”. La descrizione del gruppo è la seguente: “gruppo apolitico per protestare contro la pressione fiscale”. Qui, territorio per territorio, con un’adesione che al momento sfiora le 200mila persone, gli utenti si ritrovano per confrontarsi, sfogarsi e cercare conforto. L’intento è quello di non rassegnarsi alla situazione attuale ed ottenere quanto prima una tutela maggiore da parte dello Stato.È logico desumere, dal quadro delineato, che aprire una Partita Iva al giorno d’oggi è un atto di coraggio, per molti quasi eroico e non ci resta che dire, come il senatore Binetto in Quo Vado, che il “posto fisso è sacro”.