Imprese insolventi, oltre 176mila a rischio usura, il 33% al Sud

I dati della Banca d'Italia sul censimento delle imprese insolventi dopo la pandemia elaborati dall'Ufficio Studi della Cgia di Mestre. Cresce l'allarme per il Mezzogiorno dove si registra la percentuale più alta di rischio usura o chiusura delle aziende.

Le scadenze fiscali previste per settembre saranno il banco di prova atteso per verificare la capacità di resistenza delle piccole e medie imprese censite come insolventi dalla Banca d’Italia. Il dato complessivo sulla salute economica del tessuto produttivo stremato dalla pandemia viene fuori dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che lancia l’allarme sulla necessità di supportare chi non ha resistito ai prolungati mesi di chiusure. “Roma, Milano, Napoli e Torino sono le realtà territoriali maggiormente in difficoltà. Parliamo di società non finanziarie e famiglie produttrici che sono state segnalate come insolventi dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Una “bollinatura” che, per legge, non consente a queste aziende di accedere ad alcun prestito erogato dal canale finanziario legale. Pertanto, non potendo beneficiare di liquidità, rischiano, molto più delle altre, di chiudere o di scivolare tra le braccia degli usurai” si legge nel rapporto.

Intanto a settembre riprende l’attività di riscossione e notifica di nuove cartelle esattoriali da parte dell’Agenzia delle Entrate. Entro il 15 e il 16 settembre scorsi le imprese dovevano pagare l’Irpef, l’Ires, l’Irap e l’ Iva. Senza contare che entro il 30 settembre è prevista la scadenza per il versamento delle rate della rottamazione-ter e del saldo e stralcio scadute il 31 luglio 2020.

“Se analizziamo i dati per ripartizione territoriale ci accorgiamo che l’area più a “rischio” è il Sud: qui si contano 57.992 aziende in sofferenza (pari al 32,9 per cento del totale), seguono il Centro con 44.854 imprese (25,4 per cento del totale), il Nordovest con 43.457 (24,6 per cento del totale) e infine il Nordest con 30.070 (17 per cento del totale)”. Di qui la necessità di intervenire con un appostamento di risorse al Fondo di prevenzione Antiusura oltre che sulla possibilità di accedere al credito.

Termina la stagione del sostegno in materia di credito

Dopo l’introduzione delle misure licenziate dal governo Conte bis (marzo 2020), i “ristori” hanno cominciato a crescere raggiungendo il picco massimo a novembre 2020, “per poi iniziare una lenta discesa fino allo scorso mese di luglio quando è stato sotto quota 743 miliardi di euro” continua lo studio. “Rispetto alla Banca d’Italia, sul fronte dei prestiti garantiti la Task Force composta da MEF, MISE-Medio Credito Centrale, ABI e SACE aggiorna con maggiore frequenza i propri dati in materia di credito alle Pmi. Attraverso “Garanzia Italia”, ad esempio, fino al 7 settembre scorso le domande presentate dalle grandi imprese sono state 3.009 e i volumi dei prestiti garantiti messi in campo da SACE hanno raggiunto i 28 miliardi di euro circa. Sempre alla stessa data, grazie al “Cura Italia” e al “Decreto Liquidità”, al Fondo di Garanzia per le Pmi sono invece giunte 2.326.013 domande che hanno “generato” 191,1 miliardi di finanziamenti. Questi ultimi dati includono anche i mini prestiti fino a 30 mila euro che, invece, hanno registrato 1.167.705 domande, consentendo l’erogazione di 22,7 miliardi di finanziamenti”.