TRUMP, L’ATTACCO A FORDOW E IL BIVIO DEL MONDO: PACE O NUOVA GUERRA GLOBALE?


Trump ha attaccato Fordow. Il mondo ora teme guerra o spera in pace.

Nella notte tra sabato e domenica, il mondo ha tremato.
Non per un terremoto naturale, ma per quello politico-militare scatenato da un singolo ordine: l’attacco diretto delle forze statunitensi, autorizzate dal presidente Donald Trump, alle basi nucleari iraniane del sito di Fordow. Una mossa improvvisa, fulminea, carica di simbolismo e conseguenze.
Ma questa sarà ricordata come la fine di una lunga guerra, o come l’inizio di un incubo globale?

Le due ipotesi sono diametralmente opposte.
La prima, la più auspicabile, vedrebbe in questo attacco un colpo chirurgico per neutralizzare un pericolo imminente, una dimostrazione di forza capace di dissuadere Teheran da ulteriori provocazioni. Potrebbe perfino aprire lo spazio per una nuova trattativa, una pace armata, ma pur sempre pace.
Ma la seconda ipotesi, che inquieta analisti e governi, è ben più oscura: che questo gesto solitario e azzardato infiammi un nuovo teatro di guerra globale, risvegliando alleanze dormienti, vendette programmate, e creando una nuova catena di instabilità su scala mondiale.

Il primo interrogativo riguarda la legittimità e la prudenza della decisione.
Trump ha agito senza consultare il Congresso americano, ignorando le procedure istituzionali che richiedono l’approvazione parlamentare per azioni militari offensive. Non ha coinvolto l’ONU, né avvertito i partner NATO. Non c’è stata alcuna dichiarazione di guerra, né un confronto pubblico con il popolo americano.
Un atto unilaterale, dunque, che bypassa il dialogo internazionale e mette in discussione lo stato stesso del diritto internazionale.

Trump aveva promesso ai suoi elettori una politica estera “America First”, fatta di forza, deterrenza, ma anche, va detto, di non ingerenza militare.
Eppure, proprio nel cuore di una campagna elettorale infuocata per un nuovo mandato, ha scelto una via che sembra in netta contraddizione con le sue promesse. Ha cercato l’effetto-sorpresa? Un ritorno alla centralità mediatica? O un tentativo di consolidare il voto dei falchi repubblicani?

La verità è che questa mossa apre più domande che certezze.
Ha davvero colpito una minaccia concreta? Oppure ha messo a repentaglio milioni di vite, risvegliando i peggiori fantasmi del Medio Oriente?

Sul piano geopolitico, l’attacco rischia di avere effetti domino immediati e pericolosi.
Già nelle ore successive si sono moltiplicate le condanne da Mosca, Pechino e Ankara. L’Iran ha promesso “una risposta senza precedenti”. Israele si è dichiarato in stato di allerta, mentre gli stati europei, tra cui Francia, Germania e Italia, hanno convocato urgenti consigli di sicurezza nazionale.

Ma la tensione non è solo militare: i mercati sono crollati, il petrolio ha sfondato soglie critiche, e gli investitori internazionali parlano di una nuova crisi economica globale all’orizzonte, che potrebbe aggravare le fragilità post-pandemia e l’instabilità energetica già in atto.

Il mondo è ora sospeso su un filo sottile:
da un lato la possibilità che l’Iran, pur colpito, scelga di non reagire militarmente, aprendo una nuova stagione diplomatica. Dall’altro, l’eventualità che il Medio Oriente diventi l’epicentro di un’escalation che coinvolga le superpotenze mondiali, scivolando verso una terza guerra mondiale.

Non è solo il futuro dell’Iran o degli Stati Uniti a essere in gioco.
È l’intero equilibrio globale, la credibilità delle istituzioni internazionali, la tenuta delle alleanze storiche e la fiducia nelle regole comuni del diritto e della convivenza.

Mai come ora, serve una risposta corale, ferma e responsabile.
Serve che l’ONU si esprima con autorevolezza, che l’Europa esca dal silenzio e dalla neutralità passiva, che la comunità internazionale esiga dialogo e limiti, non solo reazioni e muscoli.
E serve ricordare, ancora una volta, che la guerra, soprattutto quella moderna, non ha vincitori. Solo perdite, solo cicatrici.

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