RESILIENZA PROFESSIONALE: UNA COMPETENZA DA “ALLENARE”


Si parla molto di resilienza, una competenza che è spesso data per scontata

Nel mondo del lavoro contemporaneo e non solo, la parola “resilienza” è diventata un po’ mantra. Ma cosa significa davvero essere resilienti in ambito professionale? E perché questa competenza è oggi considerata strategica per imprese, lavoratori e consulenti del lavoro? In questo articolo esploriamo il significato della resilienza come soft skill, il suo impatto sul benessere e sulla performance, e come potenziarla attraverso percorsi di formazione mirati.
Innanzitutto partiamo dal significato. La resilienza, in generale, è la capacità di affrontare le difficoltà, adattarsi ai cambiamenti e riorganizzarsi dopo eventi critici, mantenendo equilibrio emotivo e motivazione. In ambito lavorativo, questa qualità si traduce nella prontezza a reagire a pressioni, fallimenti, ristrutturazioni aziendali, nuove tecnologie, obiettivi sfidanti e contesti incerti.
Attenzione però: non si tratta di “resistere stoicamente” a tutto, ma di evolvere attraverso l’esperienza. I professionisti resilienti, infatti, non sono solo quelli che superano gli ostacoli, ma sono soprattutto quelli trasformano in occasioni di apprendimento e crescita.
Secondo il World Economic Forum, la resilienza è tra le competenze trasversali più richieste entro il 2025. Le aziende cercano collaboratori capaci di affrontare l’incertezza con lucidità, di gestire lo stress senza compromettere la produttività, e di contribuire attivamente anche in situazioni complesse.

Resilienza: una competenza sempre più richiesta

La resilienza rappresenta una leva strategica da promuovere nei processi di selezione, nei piani di sviluppo delle risorse umane e nei programmi di welfare aziendale. Questo perché si tratta di una competenza che incide direttamente sulle performance individuali e di team, sul clima organizzativo all’interno dell’azienda, sulla capacità di innovazione, sulla fidelizzazione dei talenti e, soprattutto, aspetto su cui insistiamo spesso, sulla riduzione del rischio di burnout.
Parliamoci chiaro: la resilienza non è solo un possibile un talento innato, ma una competenza che può essere allenata. Ecco perché la formazione professionale gioca un ruolo chiave attraverso, per esempio una formazione esperienziale che si basi su gestione dello stress, intelligenza emotiva e mindfulness, ma anche su simulazioni di situazioni critiche e role playing, oltre che su attività outdoor e team building.

Un tipo di formazione improntata alla resilienza può anche passare attraverso strategie di coaching e mentoring, con percorsi individuali per rafforzare l’autoefficacia e supporto nella definizione di obiettivi e nella gestione delle emozioni, e attraverso la formazione digitale, con corsi online su resilienza, leadership adattiva, change management e webinar e microlearning per una fruizione flessibile.
Per le imprese, promuovere la resilienza significa costruire organizzazioni più agili, capaci di affrontare le crisi senza perdere competitività. Per i consulenti del lavoro, è un’opportunità per proporre soluzioni innovative e personalizzate, che rispondano alle esigenze di un mercato in continua evoluzione.
In un contesto post-pandemico, segnato da instabilità geopolitica, transizione digitale e nuove modalità di lavoro, la resilienza diventa un fattore critico di successo non solo per affrontare le sfide, ma per anticiparle.
Investire nella formazione sulla resilienza significa costruire un mondo del lavoro più sano, più umano e più sostenibile. Perché la vera forza non è resistere, ma trasformarsi.

BENESSERE MENTALE, STRESS E EQUILIBRIO VITA-LAVORO: L’IMPEGNO DI CO.N.A.P.I. PER IL BENESSERE IN AZIENDA


Il benessere psicologico dei lavoratori è diventato una priorità per molte imprese.

Prendersi cura della salute mentale in azienda significa investire nella serenità, nella produttività e nella qualità delle relazioni professionali.
Negli ultimi anni, il benessere mentale è diventato un tema centrale per le aziende. Sempre più organizzazioni riconoscono che lavorare in un ambiente sano, equilibrato e attento alle esigenze personali migliora non solo la qualità della vita dei dipendenti, ma anche la produttività e la stabilità interna.
Lo stress sul lavoro è una delle cause principali di malessere. Può derivare da carichi eccessivi, scadenze pressanti, mancanza di riconoscimento o difficoltà nei rapporti con colleghi e superiori. Se non gestito, lo stress può portare a esaurimento, assenteismo, calo della motivazione e problemi di salute. Per questo motivo, molte aziende stanno investendo in programmi di prevenzione e supporto.

Uno degli strumenti più diffusi è la mindfulness, una pratica che aiuta a sviluppare consapevolezza, concentrazione e calma. Attraverso corsi guidati, esercizi di respirazione e momenti di pausa consapevole, i lavoratori imparano a gestire meglio le emozioni, a ridurre l’ansia e a migliorare la capacità di affrontare le difficoltà. Secondo recenti studi, la mindfulness riduce il rischio di burnout e favorisce un clima aziendale più sereno e collaborativo.
Un altro aspetto fondamentale è il cosiddetto “equilibrio tra lavoro e vita privata”. Le aziende più attente offrono orari flessibili, possibilità di lavoro da remoto, pause ben distribuite e iniziative di benessere che aiutano i dipendenti a conciliare impegni professionali e personali. Questo equilibrio è essenziale per mantenere alta la motivazione, ridurre lo stress e favorire una maggiore soddisfazione sul lavoro.

In questo contesto, Co.N.A.P.I. si dimostra particolarmente sensibile e attento al benessere delle persone. L’organizzazione promuove attivamente iniziative che mettono al centro la salute mentale, la gestione dello stress e la qualità della vita lavorativa, sostenendo percorsi formativi dedicati e incoraggiando una cultura aziendale più umana e inclusiva.
Infine, il ruolo dei responsabili delle risorse umane è cruciale. Devono saper ascoltare, individuare segnali di disagio e promuovere una cultura aziendale rispettosa e aperta. Il benessere mentale non è solo una questione individuale, ma una responsabilità condivisa che riguarda tutta l’organizzazione.
Investire nel benessere mentale significa costruire un ambiente di lavoro più stabile, produttivo e umano. Le aziende che lo fanno migliorano la vita dei propri collaboratori e si preparano ad affrontare il futuro con maggiore forza e coesione.

EMPATIA IN AZIENDA: UNA COMPETENZA INVISIBILE E RIVOLUZIONARIA


Una formazione aziendale che punti sull’empatia può essere un vero game changer

È vero: in un momento storico in cui non si fa che parlare di intelligenza artificiale, di automazione e performance, l’empatia ci sembra un po’ una parola fuori moda. Eppure, è proprio questa competenza invisibile a fare la differenza tra un’organizzazione che funziona e una che ispira, tra un team che collabora e uno che innova.
L’empatia, giusto per tentare una sintesi tra le accezioni psicologica e sociale, è la capacità di comprendere e condividere le emozioni, i pensieri e le prospettive di un’altra persona, non solo tentando di “mettersi nei panni dell’altro”, ma cercando di percepire attivamente ciò che l’altro sta vivendo, pur mantenendo una distinzione da sé.
Sebbene questa definizione sia parziale, è certamente migliore di quella offerta dal linguaggio comune in cui l’empatia è spesso confusa con la gentilezza o, peggio, con l’emotività. In realtà, soprattutto in ambito aziendale, si tratta della capacità di comprendere il punto di vista altrui così da adattare la comunicazione e dacostruire relazioni basate sulla fiducia.
Si tratta di una soft skill che in molti trascurano o danno per scontata ma che invece è molto importante perché impatta sulla leadership e sulla gestione del team così come sulla comunicazione interna ed esterna dell’azienda.

L’empatia ha poi anche a che fare con aspetti cruciali come customer care e la fidelizzazione, la risoluzione dei conflitti, l’inclusione e l’innovazione.
Per sintetizzare potremmo dire che l’empatia è il collante che tiene insieme le persone, anche quando lavorano da remoto, sotto pressione o in contesti complessi. Come si può dunque pensare di non investire nell’”allenamento” di questa capacità?

Investire in formazione empatica

Le aziende che promuovono una cultura empatica registrano, infatti, benefici tangibili. Secondo diverse ricerche internazionali:

  • I team empatici sono più resilienti e meno soggetti a burnout
  • I leader empatici generano maggiore engagement e retention
  • I clienti percepiscono più autenticità e attenzione
  • Le organizzazioni empatiche attraggono talenti più motivati e diversi

Inoltre, in un mercato del lavoro sempre più fluido, dove le competenze tecniche si aggiornano rapidamente, quelle relazionali diventano il vero vantaggio competitivo. E questo abbiamo già avuto modo di dirlo nei precedenti articoli di questa rubrica.

Metodi di formazione

Definita l’empatia e la sua complessità, vien da sé che formazione dedicata non possa essere un modulo isolato o un webinar motivazionale ma una parte integrante della strategia HR e della cultura aziendale.
Pertanto tra i percorsi più efficaci ci sono certamente quelli esperienziali, fatti di simulazioni, role play, casi reali ed esercizi di ascolto attivo. Altro aspetto indispensabile di una formazione che tenda all’empatia aziendale è la multidisciplinarità: i corsi, infatti, devono necessariamente integrare psicologia, neuroscienze, comunicazione e design organizzativo e devono anche essere continuativi, dotati quindi di follow-up, feedback e pratiche quotidiane, e inclusivi, ossia rivolti a tutti i livelli, dal top management ai team operativi.
Alcune aziende stanno integrando l’empatia nei processi di onboarding, nei sistemi di valutazione e persino nei criteri di selezione, comprendendo che non si tratta solo di formare le persone, ma di creare ambienti che favoriscano l’ascolto, la sicurezza psicologica e la collaborazione.

Per chi lavora nel mondo HR, nella consulenza del lavoro o nella formazione, l’empatia è una chiave di lettura potente. Permette di comprendere meglio le dinamiche aziendali, facilitare il cambiamento culturale, progettare interventi realmente efficaci e , soprattutto, affrontare temi delicati come stress, diversity, benessere, leadership.
Sempre più aziende stanno infatti collegando l’empatia alla sostenibilità, non solo ambientale ma sociale e relazionale. Un’organizzazione empatica è più attenta alle persone, ai territori, alle comunità ed è più capace di ascoltare, includere, innovare.
In questo senso, l’empatia diventa anche una leva reputazionale e di enorme impatto.

L’empatia è competenza fondamentale per affrontare le sfide del lavoro contemporaneo. In un mondo dove tutto cambia rapidamente, ciò che resta è la qualità delle relazioni e l’empatia è il punto di partenza.
Investire in empatia significa investire in persone, in cultura, in futuro.

LA LEADERSHIP: UNA COMPETENZA CHE SI FORMA, NON SI IMPROVVISA


Formare alla leadership aziendale significa migliorare il clima sul posto di lavoro e la produttività

Il termine leadrship, questo famoso inglesismo che conosciamo un po’ tutti, viene spesso usato con una certa leggerezza. Quello che in italiano possiamo definire come “capacità di guida” o “attitudine al comando”, spesso si attribuisce in maniera automatica a chi ha un ruolo dirigenziale, a chi prende decisioni, a chi sta al vertice. Ma la leadership, quella vera, intesa come competenza relazionale, strategica, emotiva, non coincide sempre con la posizione gerarchica. Non è una competenza che appartiene meccanicamente al dirigente in quanto tale. È qualcosa di più e come tutte le competenze può essere sviluppata. Anzi, deve esserlo.

Per troppo tempo abbiamo creduto al mito del leader “naturale”: quello carismatico, sicuro di sé, capace di trascinare le folle. Oggi però sappiamo che la leadership efficace è molto più complessa perché richiede ascolto, visione, capacità di gestire l’incertezza, di motivare senza manipolare, di creare fiducia anche nei momenti difficili.

Essere leader significa saper costruire contesti in cui le persone si sentano coinvolte, responsabili, libere di esprimere idee e dubbi; Significa saper dire “non lo so” quando serve, e saper dire “ci provo” quando tutti esitano. È una forma di presenza, non di potere.

La leadership in azienda è fondamentale visto che incide direttamente su produttività, clima interno, retention, reputazione. I leader, infatti, influenzano il modo in cui si lavora, si comunica, si affrontano le sfide, e questo impatto può essere positivo o negativo, a seconda del livello di consapevolezza e competenza.
Un leader formato sa gestire i conflitti senza irrigidirsi, dare feedback costruttivi e tempestivi, delegare con chiarezza e fiducia, motivare senza pressioni inutili, sa facilitare il cambiamento anziché subirlo.
Queste sono competenze che non si improvvisano, che richiedono tempo, pratica, confronto.

Ecco perché la formazione alla leadership è fondamentale.
Ed è bene ricordare che investire nella formazione alla leadership non è un costo, ma un investimento perché i benefici derivanti sono molteplici e si riflettono su tutta l’organizzazione.

Un leader ben formato può infatti:

  • Migliorare il clima aziendale: i team guidati da leader consapevoli sono più coesi, meno stressati, più proattivi.
  • Ridurre il turnover: le persone restano dove sentono di poter crescere, essere ascoltate, valorizzate.
  • Prendere decisioni più efficaci: un leader formato sa leggere il contesto, anticipare i problemi, coinvolgere le persone giuste.
  • Favorire la crescita reputazionale: le aziende che investono in leadership sono percepite come più solide, innovative, attrattive.

Inoltre, la formazione alla leadership aiuta a creare una cultura aziendale condivisa, basata su valori come la responsabilità, la trasparenza, la collaborazione. E questo è un vantaggio competitivo che va oltre i numeri.

Ma come deve essere la formazione alla leadership? Questo tipo di formazione, naturalmente, non può essere standardizzato. Ogni azienda ha la sua cultura, i suoi obiettivi, le sue sfide e per questo è importante progettare percorsi su misura, che tengano conto del contesto e delle persone coinvolte.

Continueremo a parlarne nei prossimi appuntamenti della nostra rubrica.

I PROBLEMI E GLI IMPREVISTI IN AZIENDA: UNA RISORSA NASCOSTA


Gli imprevisti rafforzano l’azienda: stimolano adattamento, resilienza e prontezza. Sono una risorsa.

Nella quotidianità aziendale, problemi e imprevisti non sono un’eccezione, ma una costante. Spesso si tende a considerarli come ostacoli da evitare a tutti i costi, ma la verità è che non è tanto importante eliminarli, quanto imparare a governarli.
Ogni evento imprevisto rappresenta una sfida, certo, ma anche un’occasione di apprendimento e rafforzamento organizzativo. I cosiddetti “fatti imponderabili”, quegli episodi che sfuggono a ogni previsione o pianificazione, diventano nel tempo una sorta di barriera protettiva: ci costringono a reagire, ad adattarci, a sviluppare strumenti e strategie che riducono la vulnerabilità futura.

È un processo silenzioso ma potente: ogni criticità superata alimenta una memoria operativa che rafforza la struttura aziendale, ne aumenta la capacità di risposta e affina l’attenzione verso i segnali deboli.
In questo senso, potremmo dire che gli imprevisti sono una fortuna.
Ci tengono “con le antenne rizzate”, pronti a cogliere ogni cambiamento e ad affrontarlo con lucidità.
Sviluppano nel tempo la resilienza aziendale, quella qualità che permette a un’organizzazione non solo di resistere alle crisi, ma di crescere attraverso di esse.
In un mondo in cui l’incertezza è la sola certezza, la vera forza di un’azienda non sta nell’assenza di problemi, ma nella capacità di affrontarli con equilibrio, visione e prontezza.

COACHING E MENTORING: UNA BUSSOLA PER L’IMPRENDITORE


Alcune pratiche e alcuni ruoli specifici possono migliorare radicalmente la vita in azienda

Ciò che separa un’impresa che cresce da una che si spegne, spesso, è la capacità di comunicazione che l’imprenditore riesce ad avere: con se stesso, con i collaboratori, con chi ha già vissuto certe sfide.
In questo spazio relazionale si inseriscono il coaching e il mentoring aziendale, due pratiche che non promettono formule magiche ma che di certo sono in grado di offrire qualcosa di prezioso: una mappa tracciata con esperienza.
In un’epoca in cui l’imprenditore è chiamato a essere stratega, comunicatore, innovatore e spesso persino psicologo, il coaching e il mentoring diventano strumenti importanti per non perdersi nel ruolo e ritrovare la direzione.
Coaching e mentoring: simili, ma non uguali

Il coaching è un processo strutturato, orientato all’azione. Il coach non dà risposte, piuttosto fa domande. Aiuta a chiarire obiettivi, superare blocchi, allenare competenze. Crea, insomma, una relazione che accelera il cambiamento, stimola il pensiero critico (alcune tra le soft skills di cui abbiamo già parlato negli articoli precedenti) e porta a risultati misurabili.


Il mentoring, invece, è una relazione più fluida e spesso più lunga. Il mentor è una figura esperta, che condivide visione, errori, intuizioni. Non guida con tecniche, bensì con storie, ed è una presenza che ispira, che apre connessioni, che offre prospettive.

Ma perché crediamo che queste figure servano all’imprenditore? Semplicemente perché l’imprenditore, per definizione, è immerso nel rischio. E il rischio, senza confronto, può diventare isolamento. È così che coaching e mentoring possono offrire uno spazio protetto per pensare, per sbagliare, per ricalibrare.
Attraverso questi strumenti è infatti possibile arrivare a obiettivi fondamentali come l’organizzazione, la gestione dello stress e delle emozioni, la costruzione di una cultura aziendale più consapevole, l’espansione del proprio network e della propria visione.
Alla luce di tutto questo, l’inserimento del coaching e del mentoring in un piano di formazione aziendale diventa davvero strategico. Si tratta difatti di una scelta che si limita ad aggiungere “moduli” a un catalogo ma che consente di ripensare la formazione come esperienza trasformativa, non solo informativa

Ecco alcune modalità efficaci:
Coaching individuale per figure chiave: imprenditori, manager e team leader possono beneficiare di percorsi personalizzati, mirati allo sviluppo di competenze strategiche e soft skills.
Mentoring interno tra senior e junior: valorizzare le competenze già presenti in azienda creando relazioni di scambio tra generazioni professionali. Questo rafforza la cultura aziendale e favorisce la retention.
Sessioni di gruppo e peer coaching: incontri facilitati tra pari per condividere sfide, soluzioni e buone pratiche. Ottimo per team creativi o in fase di trasformazione.
Formazione blended: integrare coaching e mentoring con workshop, e-learning e attività esperienziali. Il risultato è un percorso formativo più completo e coinvolgente.
Monitoraggio e feedback continuo: usare strumenti di valutazione qualitativa per misurare l’impatto delle relazioni di coaching e mentoring nel tempo.
In questo modo, il piano di formazione non diventa solo un investimento tecnico, ma un vero motore di evoluzione culturale.
Certo, ci sono i benefici misurabili: più focus, più efficacia, più risultati. Ma ce ne sono altri, meno visibili e forse più importanti: la sensazione di non essere soli. La possibilità di pensare ad alta voce con qualcuno che ascolta davvero. La costruzione di un’identità imprenditoriale più autentica, coerente con i propri valori.
In un mondo che premia la velocità, il coaching e il mentoring invitano alla profondità.
E questo, oggi, è un vantaggio competitivo.

FORMO DUNQUE SONO


La formazione aziendale è un modo efficace per rispondere alle attuali sfide del mercato.

Innovazioni che si susseguono in rapida successione, assetto economico instabile, competizione globale sempre più pressante. È questa la cornice entro cui gli artigiani e gli imprenditori devono inquadrare la loro attività.
Le aziende che resistono, e che anzi progrediscono, oggi non sono per forza quelle le più grandi bensì quelle che sanno adattarsi. Sono, insomma, le aziende che sanno rispondere elasticamente alle nuove esigenze e che sono in grado di adeguare il loro profilo all’attuale conformazione del mercato.
D’altronde, adattarsi significa interpretare il contesto e saperlo abitare. E, si sa, l’adattamento e “l’abitare” passano prima di tutto dalle persone.
È proprio in questo quadro che la formazione dei professionisti, delle persone, assume un ruolo ancora più rilevante, non limitandosi a un benefit ma configurandosi come una necessità strategica.
Ma quali sono le reali implicazioni di un investimento in formazione e, soprattutto, come andrebbe affrontato in modo efficace?

Formazione come vantaggio competitivo

Per stare al passo, l’abbiamo detto, le aziende devono investire nel capitale umano attraverso programmi di formazione mirati, aggiornati e coerenti con i propri obiettivi. Non dobbiamo pensare solo a corsi tecnici o ad aggiornamenti normativi (comunque necessari): la formazione aziendale riguarda anche lo sviluppo delle soft skills, della leadership, del pensiero critico e della capacità di lavorare in team. È proprio in questo senso che diventa uno strumento chiave per costruire una cultura aziendale solida, innovativa e resiliente.
L’investimento in formazione porta benefici misurabili su più livelli. Innanzitutto aumenta la produttività: dipendenti più competenti lavorano meglio, in meno tempo e con meno errori. Costruisce, poi, motivazione e fidelizzazione: sentirsi valorizzati e supportati nella crescita professionale, infatti, rafforza il legame con l’azienda e riduce il turnover. Ma soprattutto apporta innovazione continua – un team aggiornato è più propenso a proporre soluzioni creative e a sperimentare nuove strade – e migliora di gran lunga la reputazione aziendale.

Formazione su misura

Attenzione però: ogni azienda ha esigenze diverse. Per essere efficace, quindi, la formazione deve essere progettata ad hoc, partendo da un’attenta analisi dei fabbisogni. I formati possono variare (dai workshop in presenza agli e-learning, dai coaching individuali ai percorsi blended) ma l’importante è che il contenuto sia rilevante, applicabile e allineato con la realtà aziendale.
Un errore comune, infatti, è trattare la formazione come un obbligo da adempiere o come un evento isolato. In realtà, deve essere un processo continuo, integrato nella cultura aziendale e monitorato nel tempo attraverso indicatori chiari.

Leadership e retention

In azienda, anche in ambito formativo, l’esempio è tutto e parte dall’alto. Nessun programma formativo, infatti, può funzionare in assenza di un sostegno da parte della leadership ed è per questo che dirigenti e i manager non devono solo autorizzare la formazione ma devono anche promuoverla, integrarla nella gestione quotidiana, essere partecipativi.
Un manager che coinvolge nella formazione è anche consapevole che solo formando si trattengono i talenti in azienda: sentirsi parte di un percorso di crescita, avere accesso a opportunità di apprendimento e sviluppo – insomma essere motivati – è uno dei fattori che più influisce sulla fidelizzazione delle risorse, soprattutto tra i profili più giovani.
Questo significa ripensare la formazione considerandola non solo una risposta a un bisogno tecnico ma una vera e propria componente del welfare organizzativo e della proposta di valore per i dipendenti.

Costruire una cultura aziendale in cui “imparare” sia considerato parte del lavoro quotidiano e non un’attività secondaria è una delle sfide più rilevanti per le imprese che vogliono rimanere competitive in modo sostenibile. Nell’incertezza generale, c’è una sola certezza: saranno le persone preparate, curiose e flessibili a fare la differenza. E ogni azienda ha la responsabilità, e l’opportunità, di coltivare questo valore.

PRODUTTIVITÀ AZIENDALE E BENESSERE ORGANIZZATIVO: IL RUOLO CENTRALE DELLA FORMAZIONE EMOZIONALE

Il miglioramento della produttività aziendale passa sempre più attraverso il benessere organizzativo e la valorizzazione delle persone. La formazione emozionale e motivazionale gioca un ruolo chiave nel favorire motivazione, relazioni efficaci e realizzazione professionale. Il webinar organizzato da Co.N.A.P.I. il 25 luglio offrirà strumenti pratici e riflessioni su questi temi. Il benessere dei lavoratori non è un lusso, ma una leva strategica per la crescita sostenibile delle imprese.

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IL LAVORO: UN DIRITTO E UN DOVERE DA TUTELARE E RISPETTARE


IL LAVORO E’ UN DIRITTO DA PROTEGGERE E UN DOVERE DA RISPETTARE

Il lavoro, come sancito dalla Costituzione Italiana all’articolo 1, è un diritto fondamentale su cui si fonda la Repubblica. È uno strumento essenziale per garantire dignità, indipendenza e realizzazione personale a ogni individuo. Ma il lavoro non è solo un diritto: è un equilibrio tra ciò che il lavoratore ha il diritto di ricevere e ciò che, in quanto parte integrante di una comunità aziendale, è tenuto a dare.

Il principio costituzionale che tutela il lavoro non si limita a riconoscerlo come diritto, ma ne definisce anche le condizioni essenziali: deve essere svolto in un ambiente sicuro, deve rispettare la dignità della persona e deve essere equamente retribuito. Uno stipendio giusto e proporzionato, insieme alla sicurezza e al rispetto, rappresenta il cuore di un rapporto lavorativo corretto. È doveroso combattere lo sfruttamento del lavoro, le condizioni di asservimento e ogni forma di abuso che porti il lavoratore a perdere la propria dignità.

Ma la tutela del lavoro deve includere anche la consapevolezza che ogni diritto comporta dei doveri. Il lavoratore, all’interno di un’azienda, ha delle responsabilità verso il datore di lavoro e verso l’organizzazione nel suo insieme. Non si tratta solo di adempiere alle mansioni previste, ma di mantenere un atteggiamento di rispetto e correttezza, al pari di quando si è ospiti in una casa: si rispetta l’ambiente, si riconosce il ruolo di chi ne è padrone e ci si comporta con considerazione.

Esattamente come è giusto combattere lo sfruttamento e gli abusi che minano la dignità del lavoratore, è altrettanto doveroso condannare le condotte scorrette da parte dei lavoratori, come approfittarsi della propria posizione per interessi personali o arrecare danno all’azienda. La lealtà è il fondamento di un rapporto di lavoro sano. Non esiste una realtà aziendale prospera senza un reciproco rispetto tra lavoratore e datore di lavoro, che siano legati da un contratto stabile o temporaneo.

Un ambiente di lavoro ideale si costruisce sul rispetto reciproco. Il datore di lavoro deve creare un contesto sicuro e dignitoso, riconoscendo ai lavoratori i loro diritti fondamentali. Il lavoratore, d’altra parte, deve onorare il proprio ruolo con impegno, rispetto e responsabilità. Solo così si può costruire un modello di lavoro equo e giusto, che rispetti i principi costituzionali e garantisca il benessere di tutte le parti coinvolte.

In definitiva, il lavoro non è solo un diritto da tutelare ma anche un dovere da rispettare. È un rapporto di equilibrio, dove la dignità e il rispetto, da entrambe le parti, sono la chiave per costruire una società più giusta e una comunità lavorativa solida e responsabile.

NUOVE FUNZIONALITA’ INPS PER UNA GESTIONE PIU’ SEMPLICE DELLA REGOLARITA’ CONTRIBUTIVA

Dal 5 novembre 2024, l’INPS ha lanciato la Piattaforma Unica per la Verifica e Gestione Interattiva della Regolarità Contributiva, uno strumento pensato per semplificare la gestione delle posizioni contributive e garantire una maggiore trasparenza. Con questa nuova piattaforma, i contribuenti e i loro intermediari possono monitorare e regolarizzare in anticipo le irregolarità contributive, evitando ritardi o problemi nel rilascio del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva).
Le principali funzionalità della piattaforma includono:
• Ve.R.A. (Verifica Regolarità Contributiva) e Simulazione DURC: strumenti che permettono di visualizzare in tempo reale la situazione contributiva dell’azienda, individuando eventuali anomalie che necessitano di correzioni.
• Delega Master: una nuova tipologia di delega che consente a un unico intermediario di gestire più posizioni contributive, attivando processi di regolarizzazione e ricevendo notifiche sui DURC in scadenza.

L’utilizzo della Delega Master è essenziale per accedere a queste funzionalità avanzate. Essa permette di gestire la posizione contributiva aziendale in modo centralizzato, riducendo il rischio di problematiche legate alla regolarità contributiva.
Come funziona?
Attraverso la piattaforma, il titolare o il legale rappresentante dell’azienda, così come il suo intermediario abilitato, può consultare in tempo reale tutte le evidenze legate alla posizione contributiva, identificare le irregolarità e attivare i processi di regolarizzazione. Inoltre, la piattaforma fornisce l’opportunità di ricevere notifiche in anticipo quando il DURC sta per scadere, con l’obiettivo di permettere una gestione proattiva delle posizioni contributive.
Questa nuova piattaforma rappresenta un grande passo avanti nell’efficienza e nella trasparenza della gestione contributiva, migliorando l’interazione tra INPS, contribuenti e intermediari. Accedi subito alla piattaforma attraverso il portale INPS e scopri come semplificare la gestione della regolarità contributiva!