LA MODA NELL’INCERTEZZA DEL COMMERCIO GLOBALE


La moda, tra dazi e instabilità, deve innovare per affrontare un futuro incerto.

Tra dazi, guerre commerciali e instabilità globale, l’industria della moda affronta sfide senza precedenti che mettono a rischio catene produttive, investimenti e strategie di mercato.

Il commercio internazionale, da sempre il cuore dell’economia mondiale, vive una fase di forti turbolenze. Le tensioni recenti tra Stati Uniti e Cina, scatenate dai dazi imposti dall’amministrazione Trump, hanno innescato una vera e propria guerra commerciale. Di conseguenza, le borse mondiali sono state destabilizzate, organismi come la World Trade Organization sono stati sottoposti a pressioni e gli scambi internazionali rallentati. L’Europa, posta tra le due superpotenze, si trova a navigare in acque sempre più agitate.

In questo scenario complesso, il settore della moda si rivela fragile. Spesso considerata un’industria leggera, la moda è in realtà un comparto fondamentale sia dal punto di vista economico che culturale, con un valore globale vicino ai 1.800 miliardi di dollari. Tuttavia, la sua struttura internazionale, basata su una rete di fornitori, produttori e distributori, la espone particolarmente alle turbolenze del commercio globale. I dazi, soprattutto quelli sulle esportazioni verso gli Stati Uniti, complicano ulteriormente le dinamiche di mercato, penalizzando in particolare il lusso europeo, fortemente dipendente dai mercati esteri. Gli esperti segnalano un aumento dei costi di produzione e distribuzione, oltre a difficoltà crescenti nella pianificazione delle collezioni, frenata da ritardi doganali, maggiori controlli e burocrazia.

Non sono solo i prodotti finiti a essere colpiti, ma anche materiali fondamentali come tessuti, filati e bottoni, che mettono a rischio l’efficienza dell’intero sistema. A peggiorare la situazione emerge un paradosso: produrre localmente non è sempre più economico. Per aggirare i dazi, molte aziende stanno frammentando la propria filiera, riorganizzando le fasi produttive in Paesi diversi. Tuttavia, ciò compromette l’integrazione verticale, aumentando costi, complessità e rischi, e rendendo la supply chain più fragile e imprevedibile.

Eppure, non tutto è perduto. Il segmento del lusso puro resiste, sostenuto da una clientela facoltosa meno sensibile ai rincari. A soffrire è la fascia intermedia, composta dagli “aspirational buyers”, clienti attratti dal lusso ma più attenti ai prezzi. In questo clima di incertezza, i brand reagiscono con misure di contenimento: aumento dei prezzi, sconti richiesti ai fornitori, riduzione di collezioni e personale, ed espansione verso mercati oltre i confini statunitensi.

Oggi la moda è a un bivio: deve adattarsi a un sistema commerciale sempre più instabile o rischiare di essere travolta da un ordine economico globale in continua trasformazione. La risposta potrebbe risiedere nella capacità di innovare, diversificare e ripensare modelli produttivi troppo vulnerabili agli squilibri geopolitici.

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