COACHING E MENTORING: UNA BUSSOLA PER L’IMPRENDITORE


Alcune pratiche e alcuni ruoli specifici possono migliorare radicalmente la vita in azienda

Ciò che separa un’impresa che cresce da una che si spegne, spesso, è la capacità di comunicazione che l’imprenditore riesce ad avere: con se stesso, con i collaboratori, con chi ha già vissuto certe sfide.
In questo spazio relazionale si inseriscono il coaching e il mentoring aziendale, due pratiche che non promettono formule magiche ma che di certo sono in grado di offrire qualcosa di prezioso: una mappa tracciata con esperienza.
In un’epoca in cui l’imprenditore è chiamato a essere stratega, comunicatore, innovatore e spesso persino psicologo, il coaching e il mentoring diventano strumenti importanti per non perdersi nel ruolo e ritrovare la direzione.
Coaching e mentoring: simili, ma non uguali

Il coaching è un processo strutturato, orientato all’azione. Il coach non dà risposte, piuttosto fa domande. Aiuta a chiarire obiettivi, superare blocchi, allenare competenze. Crea, insomma, una relazione che accelera il cambiamento, stimola il pensiero critico (alcune tra le soft skills di cui abbiamo già parlato negli articoli precedenti) e porta a risultati misurabili.


Il mentoring, invece, è una relazione più fluida e spesso più lunga. Il mentor è una figura esperta, che condivide visione, errori, intuizioni. Non guida con tecniche, bensì con storie, ed è una presenza che ispira, che apre connessioni, che offre prospettive.

Ma perché crediamo che queste figure servano all’imprenditore? Semplicemente perché l’imprenditore, per definizione, è immerso nel rischio. E il rischio, senza confronto, può diventare isolamento. È così che coaching e mentoring possono offrire uno spazio protetto per pensare, per sbagliare, per ricalibrare.
Attraverso questi strumenti è infatti possibile arrivare a obiettivi fondamentali come l’organizzazione, la gestione dello stress e delle emozioni, la costruzione di una cultura aziendale più consapevole, l’espansione del proprio network e della propria visione.
Alla luce di tutto questo, l’inserimento del coaching e del mentoring in un piano di formazione aziendale diventa davvero strategico. Si tratta difatti di una scelta che si limita ad aggiungere “moduli” a un catalogo ma che consente di ripensare la formazione come esperienza trasformativa, non solo informativa

Ecco alcune modalità efficaci:
Coaching individuale per figure chiave: imprenditori, manager e team leader possono beneficiare di percorsi personalizzati, mirati allo sviluppo di competenze strategiche e soft skills.
Mentoring interno tra senior e junior: valorizzare le competenze già presenti in azienda creando relazioni di scambio tra generazioni professionali. Questo rafforza la cultura aziendale e favorisce la retention.
Sessioni di gruppo e peer coaching: incontri facilitati tra pari per condividere sfide, soluzioni e buone pratiche. Ottimo per team creativi o in fase di trasformazione.
Formazione blended: integrare coaching e mentoring con workshop, e-learning e attività esperienziali. Il risultato è un percorso formativo più completo e coinvolgente.
Monitoraggio e feedback continuo: usare strumenti di valutazione qualitativa per misurare l’impatto delle relazioni di coaching e mentoring nel tempo.
In questo modo, il piano di formazione non diventa solo un investimento tecnico, ma un vero motore di evoluzione culturale.
Certo, ci sono i benefici misurabili: più focus, più efficacia, più risultati. Ma ce ne sono altri, meno visibili e forse più importanti: la sensazione di non essere soli. La possibilità di pensare ad alta voce con qualcuno che ascolta davvero. La costruzione di un’identità imprenditoriale più autentica, coerente con i propri valori.
In un mondo che premia la velocità, il coaching e il mentoring invitano alla profondità.
E questo, oggi, è un vantaggio competitivo.

LA SOLITUDINE CREATIVA DELL’IMPREDITORE


L’imprenditore decide da solo: la sua solitudine è fonte di visione, forza e libertà.

L’imprenditore autentico è, prima di tutto, un decisore solitario. Può ascoltare collaboratori, consulenti, dipendenti, familiari: il confronto è utile, a volte indispensabile. Ma alla fine, il momento della scelta ricade solo su di lui. È un atto individuale, carico di conseguenze, che non può essere delegato né ceduto.
Chi ha alle spalle anni di attività sa bene cosa significhi questa condizione: la solitudine dell’imprenditore. Non una condanna, ma uno stato naturale della leadership. È il prezzo e al tempo stesso il privilegio di chi porta sulle proprie spalle la responsabilità di un’impresa.
Questa solitudine, se affrontata con maturità, non diventa sofferenza, bensì spazio creativo.

L’imprenditore puro trasforma la pressione in ingegno, le difficoltà in occasioni di crescita, l’isolamento in capacità di visione. È come un antibiotico naturale: il cervello si abitua a trovare spiragli di luce anche quando tutto sembra oscurità.
Non esistono scorciatoie né alternative al reagire positivamente. Perché l’altra opzione è solo quella di soccombere. In un contesto economico e sociale in continuo cambiamento, sopravvive chi accetta la responsabilità come parte della propria identità e riesce a reinventarsi con coraggio.
L’imprenditore non è mai davvero solo: con lui ci sono le idee che coltiva, le persone che ispirano il suo cammino, e la forza interiore che nasce dall’affrontare il rischio ogni giorno. La sua solitudine è, in fondo, la radice della sua libertà e della sua capacità di incidere sulla realtà.