SICUREZZA SUL LAVORO: PUNIRE DI PIÙ NON SIGNIFICA PROTEGGERE MEGLIO


Punire di più non garantisce sicurezza. La deroga di 60 giorni per la formazione dei neoassunti aumenta i rischi. Serve prevenzione, non solo sanzioni.

Nel dibattito attuale sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, il quarto quesito proposto per la consultazione referendaria di giugno offre lo spunto per una riflessione più ampia e necessaria: l’inasprimento delle pene nei confronti del datore di lavoro – figura già fortemente gravata dal peso della cosiddetta “responsabilità oggettiva” – rischia di essere non solo inefficace, ma anche ingiusto, soprattutto se tale responsabilità viene estesa anche al committente, in assenza di reali poteri decisionali e gestionali.

È ormai evidente come, nel settore della prevenzione degli infortuni, non basti più affidarsi al meccanismo punitivo come leva principale per il cambiamento. Al contrario, serve intervenire in modo strutturale su quegli elementi del sistema che statisticamente rappresentano i veri punti deboli.

Uno su tutti è la deroga dei 60 giorni prevista per l’addestramento e la formazione del neoassunto. Una norma che consente al datore di lavoro di impiegare lavoratori in cantiere anche prima che siano stati adeguatamente formati, a patto che la formazione venga completata entro due mesi dall’assunzione. Questo meccanismo, pensato forse per offrire flessibilità operativa, si rivela invece una pericolosa falla normativa.

I dati INAIL parlano chiaro: la maggior parte degli incidenti sul lavoro avviene nei primi due mesi dall’inizio del rapporto lavorativo. E, ancora più allarmante, il 5% degli incidenti mortali si verifica nei primi sette giorni. Alla luce di queste statistiche, è incomprensibile come anche il nuovo Accordo Stato-Regioni, recentemente approvato, continui a legittimare tale proroga.

A rafforzare questa critica non vi è solo l’evidenza empirica, ma anche la giurisprudenza. La sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. IV, n. 37312 del 10 settembre 2014 ha infatti condannato un’azienda per aver inviato lavoratori in cantiere avvalendosi proprio della deroga dei 60 giorni. Questo verdetto dimostra che non sempre ciò che è formalmente lecito corrisponde a ciò che è sostanzialmente sicuro.

Alla luce di tutto ciò, è evidente che la strada da percorrere non è quella di un’ulteriore repressione a carico di chi già detiene responsabilità pesanti, ma piuttosto una revisione intelligente delle norme, che privilegi la prevenzione concreta attraverso formazione tempestiva, investimenti in cultura della sicurezza e un sistema di controlli realmente efficaci.

L’obiettivo non deve essere punire di più, ma far accadere meno. E questo si può ottenere solo se si interviene là dove il rischio è più alto, non dove è più facile individuare un colpevole.

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