A 91 anni si è spento Giorgio Armani, il visionario che ha reso Milano capitale della moda mondiale
Non ci sono applausi, nessun clamore, solo il silenzio elegante che lui stesso aveva insegnato a vestire. Giorgio Armani se n’è andato a 91 anni nella sua Milano, città che lo aveva accolto ragazzo inquieto e che lui ha trasformato in capitale della moda mondiale. La sua non è mai stata la storia di un uomo qualunque, ma quella di chi, partendo da Piacenza e da un’infanzia segnata dalla guerra, ha saputo cambiare il volto dell’eleganza con un gesto semplice: spogliarla del superfluo. Cresciuto in una famiglia modesta, dopo un breve periodo all’università di medicina, Armani scelse la strada più incerta ma più vicina alla sua sensibilità: la moda. Iniziò come vetrinista e buyer alla Rinascente, osservando silenziosamente i desideri delle persone, studiando proporzioni, colori, stili. Quell’occhio allenato e disciplinato lo condusse da Nino Cerruti, dove imparò l’arte sartoriale e comprese che il suo futuro non poteva essere solo da spettatore. Nel 1975, insieme al compagno Sergio Galeotti, fondò la sua maison: vendettero persino la loro auto per inseguire un sogno che pochi avrebbero osato. Fu l’inizio di un impero costruito con metodo, visione e una cifra stilistica immediatamente riconoscibile. Con la giacca destrutturata rivoluzionò il guardaroba maschile, liberandolo da rigidità formali, mentre alle donne regalò il potere dell’eleganza sobria, fatta di linee pulite e raffinate. I suoi tailleur e i suoi abiti diventarono simbolo di emancipazione e forza, indossati da donne che volevano sentirsi protagoniste della propria vita senza rinunciare alla grazia. La consacrazione internazionale arrivò con il cinema: Richard Gere in American Gigolo vestito Armani non fu soltanto un attore in un film, ma l’icona di un nuovo ideale estetico che parlava a tutto il mondo.

Da allora, Hollywood divenne la sua passerella parallela: Julia Roberts, Leonardo DiCaprio, Michelle Pfeiffer, Cate Blanchett e decine di altre star lo hanno scelto per trasformare un tappeto rosso in un racconto di stile. Ma Armani non era solo un couturier: era un uomo di valori. Le sue parole restano scolpite come un manifesto intimo: “Coltivate l’amore per ciò che fate con rispetto di chi è vicino. Con l’amore si arriva lontano. Lavorate, ma non dimenticatevi di chi avete con voi, che sia il gatto, la mamma, il cane o la fidanzata. Andando avanti avrete bisogno di persone che vi stiano accanto”. Dietro al mito, c’era un uomo capace di ricordare a tutti che la grandezza non esclude la delicatezza dei rapporti quotidiani. Legato visceralmente a Milano, non smise mai di guardare oltre: i suoi viaggi, come quello in India nel 1994, arricchirono il suo immaginario con nuove sfumature culturali, portando nei suoi tessuti il respiro di mondi lontani senza mai tradire la sobrietà che era la sua firma.
Quest’anno la maison avrebbe celebrato i cinquant’anni di storia.

Per la prima volta, lo stilista non presenziò alla sfilata di giugno, trattenuto dalla salute, ma rimase simbolicamente al timone della sua creatura, vigile fino all’ultimo. Ora, a pochi mesi da quell’anniversario, Milano si prepara a rendergli omaggio: l’Armani/Teatro aprirà le sue porte per la camera ardente il 6 e 7 settembre, prima della cerimonia privata, come lui aveva chiesto, con discrezione e senza clamori. Le reazioni del mondo intero raccontano l’impatto della sua figura: Donatella Versace lo ha salutato come un gigante, Giorgia Meloni lo ha definito simbolo dell’Italia migliore, e le star che ha vestito lo ricordano con affetto e gratitudine. Victoria Beckham lo ha definito una leggenda, e Hollywood intera si è stretta attorno a quel nome che è diventato sinonimo di eleganza. Oggi il sipario si è abbassato, ma l’opera resta. Giorgio Armani non lascia soltanto un archivio di abiti, ma un linguaggio che ha insegnato a generazioni intere che la vera raffinatezza non ha bisogno di gridare. “Re Giorgio” se ne va con la stessa misura con cui ha vissuto, lasciando un’Italia più elegante e un mondo più consapevole che l’essenzialità, quando è frutto di intelligenza e visione, può essere la forma più alta di bellezza






